È noto che la quota sommitale sia stata “ritoccata” nel permesso di costruire rilasciato dalle autorità cittadine per evitare che l’edificio superasse in altezza la Mole Antonelliana.
La struttura portante è realizzata in maniera chiara e lineare e si può sintetizzare come segue. I carichi verticali sono affidati a sei pilastri in acciaio di grande sezione, detti megacolonne, collocati lungo i fianchi dell’edificio; la loro sezione va a rastremarsi verso l’alto. Le spinte orizzontali sono assorbite dal core, una struttura scatolare in setti di calcestruzzo armato, che costituisce l’elemento di collegamento verticale.
Nel perimetro interno sono posizionati poi altri sei pilastri ausiliari, sempre in acciaio, per sostenere due travature intermedie che vanno a spezzare la luce dei solai.
Questa seconda trama di elementi portanti, come si vedrà, è perfettamente integrata nella distribuzione in pianta. Viceversa la loro presenza è stata reputata incompatibile nei piani più bassi, stante la volontà di garantire trasparenza e leggerezza, cui si faceva riferimento poc’anzi.
Una trasparenza non solo visiva, che si può ben apprezzare dal prospetto, ma funzionale, in quanto, così come accade in numerose altre opere dell’RPBW, si è voluto che l’edificio non costituisse un ostacolo ai transiti urbani ed ai flussi pedonali.
Al contrario esso è concepito come un luogo di aggregazione sociale, grazie ai servizi forniti agli abitanti della zona. È chiaro che un’impostazione del genere richieda uno spazio uniforme e flessibile, privo di pilastri intermedi o altri ostacoli.
Crediti fotografici: Enrico Cano