L’edificio sacro prosegue una linea già tracciata pochi anni prima dalla Chiesa di Paderno a Seriate, presentando nuovamente un impianto bi-absidale a costituzione della planimetria. Ma se il complesso religioso ubicato nella periferia di Bergamo impiega il doppio abside esclusivamente per connotare la porzione collocata dietro l’altare, il progetto toscano lo estende, dilatandolo sino a configurare tutta l’aula.
Questa risulta così costituita da due porzioni identiche, tra loro accostate e ricongiunte tramite un nastro vetrato, decorato dall’artista toscano Sandro Chia, che percorre l’intero involucro del fabbricato, assumendone la funzione di asse mediano.
La striscia di vetro si snoda, ininterrottamente, dall’ingresso sino alla facciata opposta, configurandosi anche come lucernario ora verticale e ora longitudinale, in corrispondenza della copertura inclinata.
La fascia trasparente è fil rouge, cerniera plastica, momento portante in grado di incardinare lo spazio e di riunificarlo lungo una linea che non segna una divisione quanto piuttosto un’unità di intenti. Ma anche unità spaziale, poiché la stessa riga è proiettata all’interno della chiesa dove si concretizza come corridoio rispetto al quale sono poste, a lisca di pesce, le panche destinate ai fedeli.
Lo sdoppiamento volumetrico sancisce una tipologia del tutto inedita, il cui effetto innovativo è incrementato dal trattamento volumetrico del corpo, che subisce un innalzamento in corrispondenza dell’altare sino a raggiungere 18 m di altezza, determinando una copertura inclinata la cui sagoma è visibile dai prospetti laterali del complesso religioso.
Interamente rivestita di mattone prodotto a mano di colore rosato, la Chiesa di Santa Maria Nuova, inaugurata ufficialmente il 9 ottobre 2010, è un’aula di circa 500 mq in cui Mario Botta, impegnato ancora una volta nella creazione di una tipologia sacra, sperimenta un impianto assolutamente differente dai precedenti, pur conservando, come indicato all’inizio, una identica metodologia progettuale.
Crediti fotografici: Enrico Cano