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19 dicembre 2016

Smarcarsi dal “Genius Loci” quando serve…ma senza “globalizzare”: incontro con Andrea Maffei

Andrea Maffei è uno degli architetti italiano dalla visione più cosmopolita, culturalmente e biograficamente. Dagli anni in Giappone a fianco del Maestro Arata Isozaki, alla creazione della sua società di progettazione a Milano.
Nel 2005 nasce, infatti, la società Andrea Maffei Architects con sede nel cuore di Milano, nel quartiere di Brera. È autore di progetti importanti e di grande visibilità mediatica: la nuova Stazione di Bologna, la Biblioteca Maranello, il Palahockey di Torino, quest’ultimo in assoluto tra le più riuscite infrastrutture olimpiche. Recentemente è stato impegnato nella realizzazione della Torre Allianz che, con i suoi 242 metri di altezza, si propone come simbolo della Milano del futuro. 

Modulo: Qual è la sua visione “architettonica” dell’internazionalizzazione del Progetto? 
Andrea Maffei: Credo che in Italia siamo troppo timorosi sul linguaggio architettonico e sul nostro rapporto con la storia. È vero che abbiamo una lunga tradizione architettonica con grandi capolavori però è venuto il momento di riflettere su come il contemporaneo incide sulla nostra architettura e sulle nostre città. Ogni architetto dovrebbe raccontare quello che pensa su quel tipo di progetto in questa epoca storica e in quel contesto geografico. È giusto riferirsi a un “Genius Loci” locale, ma anche in Italia esistono tante periferia o zone degradate dove è difficile trovare una realtà interessante a cui rifarsi. Basti pensare agli scali ferroviari e alle zone industriali. In queste zone così neutre anche l'Italia ha poche differenze rispetto a certe periferie di altri paesi extra-europei. Quindi se si interviene in queste aree per riqualificarle viene spontaneo guardare ai progetti interessanti di vario genere non solo legate alla tradizione locale. Se continuassimo anche in queste zone gli stessi materiali e linguaggi locali, penso che le città verrebbero molto monotone. Basta vedere la Bicocca di Milano dove sono stati utilizzati linguaggi legati alla tradizione italiana. In realtà le città come “arcipelago” delle diversità sono molto più interessanti e credo sia la linea di pensiero più affascinante da sviluppare. Il vero punto dolente e la qualità progettuale: se un edificio è architettonicamente interessante piacerà sempre molto e rimarrà nella storia, viceversa il contrario. 

Modulo: Che caratteristiche possiede un progetto di architettura “globalizzato”? 
Andrea Maffei: Il termine globalizzato è sbagliato e molto riduttivo. Il punto è che l'uomo ha cambiato la sua percezione della realtà. Dal 2000 ad oggi è molto aumentata la velocità di informazione e la diffusione informatica. Oggi quasi tutti vediamo tutta la realtà attraverso gli smartphone e non più dalla televisione come accadeva negli anni Novanta. Questo ha portato ad una velocissima condivisione di modi di vivere e di pensieri differenti tra loro, riducendo così le differenze tra gli italiani e chi vive in altre parti del mondo. Il modo di percepire le cose si è molto uniformato tra le varie persone, soprattutto tra i giovani. Quindi anche il modo di concepire l’architettura si è uniformato tra le giovani generazioni. Quando un architetto italiano progetta un edificio in Italia ha in mente edifici realizzati in varie parti del mondo, quindi pensa anche lui come potrebbe pensare un inglese o un cinese. Non si può generalizzare un progetto “globalizzato”. Ormai tutti gli architetti hanno gli stessi strumenti, le stesse tecnologie e tanti linguaggi. Come dicevo il problema vero è la qualità del progetto: se questo racconta davvero qualcosa di interessante su quel tipo di edificio in quel contesto allora diventa un progetto di qualità. Se, invece, si basa solo su un mix di scelte formali, di stili, ripresi da altri progetti non ha contenuti e quindi non ha qualità. 

Modulo: Lei ha progettato, insieme a Isozaki, la Torre Allianz a Milano. In che misura la pertinenza locale può influenzare le dinamiche di pensiero e di percorso di progetto? 
Andrea Maffei: La pertinenza locale è un aspetto importante da tenere in conto. In CityLife avevamo a disposizione l’area della vecchia Fiera di Milano, fatta solo di capannoni senza un particolare significato architettonico. Abbiamo mantenuto il primo padiglione della Fiera, cosiddetto delle Scintille, come riferimento alla tradizione storica milanese. Per il resto abbiamo cercato di dialogare con la città attorno rompendo il perimetro quadrato della Fiera e riducendo l’area con il tessuto urbano circostante. Le strade intorno sono state prolungate dentro il nuovo intervento, gli edifici continuano le altezze esistenti, le prospettive storiche sono state continuate. Nel nostro grattacielo abbiamo poi preso a riferimento il Pirelli di Giò Ponti, la forma stretta e allungata richiama questo esempio della tradizione milanese. Ciò si traduce in una grande funzionalità interna: la forma allungata consente di creare un grande spazio uffici molto flessibile al centro e due cores alle estremità. In questo modo abbiamo voluto raccontare come lo spazio uffici non può essere vincolato da una forma, ma deve essere flessibile per potersi adattare al nuovo modo di lavorare sempre in continua evoluzione. 

Modulo: Integrative Design potrebbe essere individuata come chiave di sviluppo per i progetti internazionali. L’Italia è pronta? 
Andrea Maffei: Gli studi italiani sono molto capaci e di grande qualità. Il problema è il sistema italiano che non riesce a farli sviluppare, ma la preparazione dei nostri architetti è di alto livello. In Italia abbiamo un network di studi grandi e piccoli, specializzati in varie discipline. Credo che basti far funzionale questo network in modo dinamico per poter affrontare progetti internazionali. Gli italiano hanno nel loro background le più belle città del mondo, ovvero quelle italiane, e grandi maestri dell’architettura e dell’arte. 

Modulo: Lei ha una grande esperienza in ambito internazionale, europeo e in Medio Oriente, in che termini il Giappone ha influenzato il suo modo di essere architetto? 
Andrea Maffei: Appena terminati gli studi a Firenze ho voluto fare delle esperienze internazionali. Il Giappone era una delle realtà che più mi affascinavano e sono andato a lavorare a Tokyo come Associato di Arata Isozaki per sei anni. il Giappone è un grande sistema informatico neutro che corre a velocità supersonica. Tutto cambia molto velocemente, i grattacieli si costruiscono in due anni, non ci sono limiti formali. La qualità delle costruzioni è molto alta e sono molto professionali. Tokyo mi ha insegnato come progettare ad alto livello professionale e come guardare certe architetture contemporanee. La città è multiforme e quindi si possono trovare le architetture più disperate che nei nostri contesti sarebbero provocatorie, mentre da loro sono come tante altre. Vedendone tante e così vicine impari a capire dove sta la vera qualità architettonica. 

Modulo: Quanto conta la capacità di organizzarsi per uno studio di architettura italiano nei mercati internazionali? 
Andrea Maffei: Il vero problema è essere in grado di progettare qualcosa di interessante e di qualità. Non credo ci siano delle regole precise. Si tratta di avere dei contenuti interessanti nei propri progetti e ragionevoli per essere realizzabili sia in termini economici che tecnici. Oggi ci sono due tipo di studi di architettura: da un lato ci sono grandi società come Gensler o Aecom che vantano oltre 1.300 architetti, e dall’altro studi di ricerca molto ridotti ma che hanno più influenza sulla storia dell’architettura. Io penso spesso a Carlo Scarpa e Louis Khan che con piccoli studi di pochi architetti hanno cambiato la storia. Il tema è: quality not quantity come dice I.M.Pei nel film “My Architect” dedicato a Khan. 

Pubblicato su Modulo 398
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