Sono passati 21 anni dalla fondazione di Piuarch: era infatti il 1996 quando Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario, dopo un’esperienza comune presso Gregotti Associati International, decisero di aprire un proprio studio. La sede, un open space ricavato in uno spazio industriale che ospitava un tempo una tipografia, si trova a Brera, nel centro di Milano. Qui lavorano, oltre ai quattro partners, 8 associati e 40 tra architetti e ingegneri: un team strutturato, che progetta e realizza edifici pubblici, complessi per uffici, residenze, spazi commerciali e boutiques sino al disegno di piani urbanistici, con il contributo di consulenti di diverse discipline.
Intervista a cura di Clara Taverna
Il vostro nome è neutro, non sono le iniziali dei fondatori né indicano l’indirizzo dello studio. Da dove nasce il nome Piuarch?
Piuarch: Il nostro gruppo è fatto di persone con formazione diversa, con identità diversa, che vive nella consapevolezza di queste differenze e ne trae una grande ricchezza di confronto e dialogo. È proprio l’eterogeneità, di cui noi partners siamo una dimostrazione diretta, che crea questo insieme armonico, quasi “un’orchestra”, dove il riconoscimento del gruppo vale più della personalizzazione e la passione per il fare architettura diventa il motivo trainante. Piuarch prende appunto origine da questa pluralità di voci e, oltre ad esprimere l’idea che il team sia più forte del singolo protagonista, suggerisce la volontà di prendere le distanze dal fenomeno delle archistar per lavorare su una progettazione fortemente radicata nel luogo, senza clamori e sempre attenta a garantire la qualità ambientale.
Un tratto distintivo della vostra architettura è la relazione con il contesto, il singolo edificio è sempre visto come parte del tutto. Come affrontate la ricerca su questa significativa relazione?
Piuarch: La nostra architettura è legata alla comprensione del contesto; non solo fisico ma anche culturale, storico, sociale, artistico, urbano. Nel momento stesso in cui discutiamo del concept di progetto, analizziamo le modalità con cui l’edificio può instaurare un dialogo con quegli elementi che andranno poi a modellarne la forma. Il rapporto si può esprimere in una continuità morfologica - come succede nel progetto degli Uffici Dolce&Gabbana su via Broggi a Milano -, nel riferimento diretto al paesaggio - come accade per il Congressi di Riva del Garda, arricchito da un canocchiale visivo aperto sulle acque del lago -, nella corrispondenza materica - citiamo nuovamente Riva del Garda e il CENTRO*Arezzo Coop.fi - o nella prosecuzione del tessuto urbano. Il centro commerciale di Arezzo, a questo proposito, ne è una dimostrazione: il sistema di gallerie commerciali e slarghi è strutturato secondo il tradizionale rapporto strada/città mentre la torre che svetta richiama gli elementi verticali della città toscana, fatta di torri e campanili. Il rapporto con il contesto si intreccia e si arricchisce quindi di riferimenti alla storia dell’architettura - in particolare al linguaggio di Terragni, di cui condividiamo la cura del dettaglio e l’essenzialità delle forme -, e ai movimenti artistici come l’astrazionismo geometrico della seconda metà del ‘900 e il cinetismo, che contribuiscono a ispirare le forme espressive dell’edificio.
Avete realizzato edifici pubblici, complessi per uffici, residenze, spazi commerciali e allestimenti. Qual è la vostra modalità di approccio per esigenze così difformi?
Piuarch: Non possiamo parlare di un cambiamento di approccio, cioè di un modo differente di operare in relazione alle diverse tipologie funzionali. Ogni progetto nasce da un’attenta riflessione su due fattori: da un lato la relazione, appunto, con il contesto; dall’altra la necessità di garantire una sostenibilità “globale”, considerata cioè non come un dato riferito a un fattore energetico ma come una condizione che coinvolge una molteplicità di componenti. Tra questi il benessere delle persone, l’impulso alla socialità e alla possibilità di creare positive interazioni tra gli utenti, la corretta illuminazione, la limitazione nell’impiego delle risorse, la cura per il dettaglio e la fruizione da parte di individui di età differente. Valori che non dipendono dunque dalla specifica funzione insediata ma che sono condivisi in tutti i progetti.
Voi lavorate anche molto all’estero, e per committenti diversi. Come arrivano le commesse?
Piuarch: Abbiamo diversi progetti importanti completati all’estero e di questi due sono stati sviluppati a seguito della vittoria di un concorso. Si tratta, in particolare, del Quattro Corti Business Center di San Pietroburgo e del complesso per uffici IDF Habitat, progettato in collaborazione con Stefano Sbarbati e Incet Ingegneria. Il Givenchy Flagship Store di Seoul nasce invece da un affidamento diretto di incarico da parte della celebre Maison francese, che ha considerato la nostra lunghissima collaborazione con Dolce&Gabbana, per i quali abbiamo progettato per circa quindici anni le boutique di tutto il mondo, una garanzia di professionalità nel settore retail. Una situazione replicata anche per il marchio belga Les Hommes, che ci ha incaricato di declinare il concept espositivo e di progettare le boutique di Milano, Anversa e Pechino, inaugurata proprio nel maggio 2017. Molti dei committenti esteri scelgono su base meritocratica e di curriculum presentato; in questo senso, le esperienze accumulate in un determinato settore tipologico risultano determinanti per essere selezionati e poter quindi accedere ad opportunità interessanti a livello internazionale. Ancora una volta, il caso del Centro Congressi di Krasnodar di cui stiamo preparando gli elaborati definitivi, ne è la dimostrazione: la vittoria del concorso a Riva del Garda, nel 2007, ha costituito un titolo preferenziale per l’assegnazione dell’incarico.
Ernesto Nathan Rogers diceva che il cliente è colui senza il quale è impossibile fare architettura, ma con il quale è ancora più difficile farla. Quale relazione si stabilisce con la Committenza Privata e Pubblica e quanto influisce nelle scelte decisionali?
Piuarch: Abbiamo maturato numerose esperienze progettuali sia con la Committenza Pubblica sia Privata. Nel primo caso sussiste spesso un problema relativo alla burocrazia, con un tradizionale allungarsi delle tempistiche di progetto: ne è un caso esemplare il Centro Congressi di Riva del Garda, vinto dieci anni fa a seguito di un concorso e non ancora in fase esecutiva. Anzi, nonostante i fondi per la sua realizzazione siano già stati stanziati e il progetto abbia registrato un ampio consenso da parte della comunità locale, non sappiamo ancora se andrà a buon fine. L’inefficienza burocratica è uno dei limiti dell’intervento, che ha inoltre risentito di un problema di soggettività tale da influire in modo determinante sul linguaggio architettonico. Un singolo funzionario della provincia ha infatti avuto il potere di modificare la soluzione di facciata scelta, imponendo qualità differenti rispetto al progetto originario. Anche il concorso vinto per la realizzazione di una serie di strutture sociali nel comune di Bagnoli, a Napoli, ha un decorso simile al Centro Congressi di Riva del Garda: si tratta di un progetto economicamente finanziato e mai concretizzato da parte dell’amministrazione locale.
Assolutamente differente, invece, il rapporto con la Committenza Privata e in particolare la lunga partnership con Dolce&Gabbana, che prosegue da circa 15 anni. Un’esperienza che riteniamo molto positiva perché si svolge in un dialogo reciproco costante e nel sostanziale equilibrio tra le richieste avanzate dal cliente e la salvaguardia della qualità architettonica e del nostro linguaggio. Episodi analoghi sono successi anche con Givenchy, Gucci e Les Hommes, dove i referenti sono abituati a essere immersi nel processo creativo e il progetto beneficia sempre del contributo di entrambe le parti.
L'intervista completa su Modulo 407, Maggio/Giugno 2017