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19 dicembre 2016

Internazionali…all’italiana: il pensiero di Claudio Nardi

La capacità di comprendere il contesto globale, dall’insieme al dettaglio in un continuo trasferimento di scala che non tiene conto delle omologazioni di processo è la leva competitiva del progetto italiano.
Modulo: Progettare fuori dal proprio territorio. È un desiderio di esplorazione e di sperimentazione di pensiero o un’esigenza professionale? 
Claudio Nardi: In prima battuta si desidera progettare all’estero per ampliare le proprie prospettive professionali. Bisogna valutare le dimensioni e la scala dei progetti ai quali si desidera accostarsi, perché l’onere finanziario e organizzativo dello studio per intraprendere queste iniziative è notevole. Misurare le proprie forze è un buon inizio. Non può esistere la pulsione creativa senza il necessario adeguamento degli aspetti commerciali, con l’uno senza l’altro si va poco lontani. Per progettare fuori dal proprio contesto è necessario mantenere a livello alto sia la qualità creativa sia quella imprenditoriale, senza limitare o forzare la sfera delle opportunità. Per tenere alta la qualità bisogna misurare in continuo la propria capacità di “fare”. Non è strategico né professionalmente gratificante concentrarsi sul linguaggio. È l’efficienza del progetto che dà una restituzione complessiva in termini di soddisfazione creativa e di fidelizzazione dei clienti. 

Modulo: Qualità alta per internazionalizzare il progetto… 
Claudio Nardi: Funzionale al mantenimento dell’alta qualità di progetto, come prerequisito necessario, c’è sicuramente la capacità di valutare la misura operativa personale: la consapevolezza del proprio limite consente di lavorare al massimo livello e di far “molto bene”. Riferirsi a un pensiero di qualità prescinde dalle dimensioni imprenditoriali. Talvolta ho esaminato la possibilità di lavorare con studi internazionali e, per conoscenza delle situazioni, delle problematiche e per capacità di risolvere, avrei potuto scegliere di condividere delle esperienze. Ma non bisogna snaturarsi: l’espansione professionale a largo raggio non è tra i miei obiettivi. Possiamo dire che il mio studio “naviga a vista”, sta al di fuori dai grandi progetti internazionali ed esamina le situazioni “all’impronta”, uno stile italianissimo che ha il pregio di stimolare continua curiosità, attenzione e creatività e il difetto (grave) di lavorare in uno stato di scarsa prevedibilità gestionale. L’esito (di successo) è quello di portare in giro per il mondo un’Italia fatta di un binomio straordinario, la piccola scala che interagisce con la visione d’insieme. 

Modulo: Qual è la sua ambizione nel contesto internazionale? 
Claudio Nardi: Non ho un obiettivo assoluto, esistono diversi approcci possibili attraverso l’adeguamento a più linguaggi. Il tema del linguaggio architettonico è fragile e permeabile. Non esiste o non ha più senso che esita un’architettura fatta di proclami: l’architettura è mutevole e accetta le trasformazioni senza scomporsi. Modulo: Quanto lavorava all’estero? Il territorio italiano continua a essere un ambito prediletto? Claudio Nardi: Dipende dai periodi, dal mercato, le proporzioni variano dal 70 al 30% in senso biunivoco. Diciamo che spazio dalla Toscana alle Cina, transitando per l’Europa. 

Modulo: Dalla Toscana alla Cina: reciprocità di portata o travaso unilaterale? 
Claudio Nardi: Lavoriamo a scale diverse, con materiali diversi, in contesti diversi. Il travaso è continuo, è anche la nostra leva competitiva quando ci si confronta con i grandi studi internazionali: la capacità reale, non soltanto dichiarata, di comprendere il contesto globale, dall’insieme al dettaglio, in un continuo trasferimento di scala che non tiene conto delle omologazioni di processo. Muoversi con leggerezza nell’ambito del proprio percorso professionale, dimostrando versatilità, mettendo insieme antico e nuovo, senza zavorre concettuali, alla fine è questa la qualità del progetto italiano. 

Modulo: Questa attitudine deriva dalla sua formazione? 
Claudio Nardi: Ho lavorato con Carlo Scarpa, concentrandomi sull’architettura d’interni, imparando i termini di rapporto con gli artigiani. Ora mi rendo conto che questo vissuto riemerge nei miei progetti a ogni scala. Vedere le cose da lontano e da vicino è essenziale quando si formula un’intenzione espressiva. Gli edifici vengono vissuti dall’interno, i progetti manifesto non sempre tengono conto di questo. L’approccio dentro/fuori abbatte anche la scansione temporale prima/dopo, impone la contemporaneità del processo di appropriazione dell’edificio da parte dell’utente. Il progetto è un concetto unitario e per essere tale impone di manipolare gli elementi e cambiare i punti di vista. 

Modulo: In termini operativi come si struttura la sua organizzazione all’estero? 
Claudio Nardi: Partecipiamo a concorsi a inviti o aperti e ci appoggiamo a una rete di consulenti che valutano e propongono opportunità diverse. Lavoriamo con partner locali e stabiliamo un rapporto diretto con il Committente straniere. La discontinuità tra progetto e opera realizzata, qualora si verifichi, dipende dalla propria presenza sul territorio e dalla relazione con il partner locale e con il Committente. Assumere la direzione artistica dei propri progetti, cioè verificare la congruità del pensiero con la componente esecutiva è una garanzia di buon risultato. 


Pubblicato su Modulo 398
Vai alla scheda dello studio di progettazione: CLAUDIO NARDI ARCHITECTS