Assistiamo a un’inversione di tendenza: secondo Federico Zaggia, partner di F&M Ingegneria, il Committente internazionale più evoluto predilige il modello flessibile e agile tipico dell’ingegneria italiana rispetto al rigido e garantista protocollo anglosassone.
Modulo: Quando ha cominciato F&M Ingegneria a spingersi fuori dai confini? Federico Zaggia: F&M ha avviato il percorso di internazionalizzazione nei primi anni duemila con alcuni progetti in Europa, proseguendo poi con la prima esperienza in Cina nel 2004 e successivamente in Nord Africa e Medio Oriente. Abbiamo subito individuato come strategia corretta quella di acquisire commesse con clienti esteri e parallelamente essere presente nei territori, preferendo scartare le opportunità spot. Il motore per l’internazionalizzazione vincente della società è stato quello di acquisire clienti solidi in mercati preparati a riconoscere il valore dell’ingegneria italiana.
La Cina, ad esempio, si è dimostrata un contesto positivo: le strutture di progettazione sono enormi, contano generalmente migliaia di dipendenti, molto organizzate, ma spesso non fanno che replicare dei “concept modello” in modo piuttosto acritico. I cinesi, con la chiara accezione di alcuni architetti di fame, hanno un forte problema di creatività e preferiscono maturare da altri Paesi l’originalità del progetto. L’Italia riscontra particolare interesse vista la riconosciuta leadership internazionale nel settore del design. Sono molto sensibili ai temi della sostenibilità ambientale, anche se poi poco praticata, e anche questi sono elementi “da esportazione europea”. Apprezzano i servizi di project and construction management. A questi aspetti positivi e attraenti del mercato cinese si contrappongono i compensi bassi, le difficoltà di pagamento e il fatto che per operare efficacemente bisogna entrare nei grandi progetti internazionali dove lo standard richiesto è più elevato.
Oltre che in Cina, siamo attivi in Germania, nei Balcani, in Georgia, in Montenegro, Russia e nel Medio Oriente, Oman e Qatar.
Modulo: Quali sono i canali di approccio ai mercati?
Federico Zaggia: Partecipiamo alle gare internazionali o facciamo gruppo con altri progettisti e con le imprese. Anche quando si è aggiudicata solo l’incarico per la costruzione, l’impresa ha comunque bisogno di un supporto di progetto. Veniamo a volte inclusi dagli architetti nel team di progettazione già in fase di gara, oppure veniamo individuati e chiamati direttamente dal Committente. In alcuni casi, spesso in Oman, agiamo da Main Consultant, coordinando l’intero gruppo di progettazione.
Modulo: Le società di progettazione lamentano le inefficienze, anche semplicemente di comprensione delle dinamiche di internazionalizzazione del progetto da parte degli Istituti di credito? Condividi anche tu questo pensiero?
Federico Zaggia: In effetti c’è una certa difficoltà di comprensione rispetto al tema della richiesta di garanzie da parte del Committente, ma devo anche osservare che le banche si stanno attrezzando in ambito extraeuropeo. La piccola dimensione delle società crea evidentemente perplessità quando si chiedono garanzie e qui si innesta spontaneamente l’argomento dell’aggregazione tra studi e società per essere più forti sul mercato internazionale, tema molto dibattuto e spinto. Tuttavia, cominciamo a rilevare in alcuni casi un’inversione di marcia, una controtendenza: sempre più spesso il Committente predilige società, seppur di dimensioni ridotte rispetto ai grandi studi americani e inglesi, ma in grado di offrire un management agile e flessibile e un processo efficiente.
Le enormi società di ingegneria straniere spesso sono frutto di acquisizioni di sub strutture locali, alle quali cambiano il nome, ma non esprimono significativo valore aggiunto e alle quali viene delegato il processo progettuale nella sua interessa con le inevitabili fragilità e lacune che ne conseguono. A volte cambia il nome ma non la sostanza.
La qualità progettuale e la capacità di innovazione prescindono dalla dimensione, ci sono scale di progetto per le quali la dimensione non basta e non soddisfa. In edilizia, per costruire edifici ad esempio le soluzioni standardizzate conducono a una rigidità eccessiva nella quale si inceppa la soluzione agile dei problemi. Il valore dell’ingegneria italiana è focalizzato proprio sull’obiettivo della realizzazione dell’edificio e sulla sua qualità, si svincola dal protocollo. L’ingegneria anglosassone è eccessivamente focalizzata sul contratto, il “far bene” è legato al seguir tutte le procedure e se un passaggio non è indicato in contratto, anche se funzionale al progetto, viene disatteso. Gli anglosassoni stanno stressando fortemente l’aspetto burocratico, gli italiano vantano e sono in grado di far emergere un forte senso pratico.
Si creano situazioni di tensione in cui da una parte c’è la Committenza poco preparata, dall’altra un project management molto burocratizzato e come terzo protagonista un General Contractor che mira a guadagnare il più possibile. I costi lievitano, il Committente resta “deluso”. D’altra parte, nei Paesi in qualche misura “colonizzati” dall’ingegneria americana, i Paesi del Golfo, ad esempio, l’operatore anglosassone si trova avvantaggiato, in un contesto familiare e senza barriere linguistiche. E non sono elementi da poco nelle competizioni internazionali.
Modulo: Come è possibile far emergere la qualità dell’ingegneria italiana che hai prefigurato?
Federico Zaggia: Dobbiamo comunicare il nostro stile, lo stile italiano che è quello di usare la creatività per “risolvere”, sia in ambito di project management, sia in ambito tecnologico. L’emulazione del modello anglosassone non è funzionale a esaltare la potenzialità dell’ingegneria italiana, prendiamo la loro parte buona sugli aspetti organizzativi e per il resto cavalchiamo il valore del pensare italiano. Non possiamo però pensare che il valore dell’italianità possa da solo sopperire alle carenze croniche delle società di progettazione italiane, ancora molto frammentate, individualiste e poco propense o capaci di strutturarsi per affrontare con serietà i mercati internazionali.
Modulo: Istituzioni quali ITA e SACE possono in qualche modo supportare la diffusione dell’ingegneria italiana?
Federico Zaggia: Sono istituzioni con una buona capillarità nei diversi Paesi ma, nel nostro caso, non abbiamo un supporto significativo, neppure da parte delle ambasciate. L’attività di queste strutture è poco adeguata alle nostre esigenze, più auto promozionale dell’istituzione che promozionale del “saper fare” italiano. Le missioni all’estero sono aperte a chiunque abbia la capacità economica di aderirvi. Non viene fatta alcuna selezione, né le missioni vengono strutturate sulla base di un’offerta professionale specifica. E si tratta spesso di iniziative generiche sul Made in Italy assolutamente inefficaci in un contesto competitivo durissimo qual è quello internazionale.
Modulo: Quanto pesa, in ambito internazionale, l’uso corretto dei software di progettazione?
Federico Zaggia: Ormai siamo invasi da software bellissimi di ogni tipo; il problema è l’interoperabilità degli stessi e l’integrazione delle informazioni in modo coordinato e controllato. Da alcuni anni abbiamo adottato il BIM come metodo di progettazione per gestire oggetti ad elevata complessità. Spesso ne viene prescritto l’uso già in fase di tender. Sviluppare un progetto in BIM significa lavorare in un ambiente controllabile e controllato. Il modello raccoglie tutte le informazioni sull’edificio, consente di correggere eventuali clash e di gestire anche le fasi di preventivazione e pianificazione. Il livello finale di definizione è decisamente molto alto. Appropriarsi del sistema BIM significa possedere una forte leva competitiva, oltre al fatto che consente di acquisire lavori quando le stazioni appaltanti lo impongono, senza doversi attrezzare ad hoc. Il problema di lavorare con BIM emerge quando non tutti gli attori lo utilizzino (si creano delle incongruenze e discontinuità anche gravi), ma questo è un problema prevalentemente italiano. Scarsa è inoltre la formazione di progettisti capaci di operare in tale sistema con conseguente difficoltà di reperire personale qualificato. Altro problema, squisitamente informatico, risiede nella capacità dei server di accogliere, scambiare e proteggere tutte le informazioni in modo affidabile e veloce. Da ultimo vorrei sottolineare che il BIM non è un limite alla creatività e anzi aumenta la flessibilità: non è serio nascondere dietro una millantata creatività la disorganizzazione e la mancanza di conoscenze specialistiche.
Pubblicato su Modulo 398