Sandro Favero, socio anziano, di fatto “inventore” di tecnologie dal 1979, rifiuta con decisione qualsiasi forma di protagonismo ingegneristico perché engineering esiste… solo se esiste il team.
Modulo: Una storia di lungo corso, più di 35 anni di ingegneria e di progetti: un incipit scontato, ma se dovesse disegnare una linea del tempo quali sarebbero le tappe essenziali? Con quali citazioni progettuali potrebbe visualizzare i momenti più significativi? Sandro Favero: La mia vita professionale coincide con la storia di F&M Ingegneria. All’inizio un piccolo studio con pochi collaboratori, fino ad arrivare, oggi, a una società con sei partner e sedi in Italia e all’estero. La cura e l’attenzione con cui si progettavano e disegnavano al tecnigrafo gli elaborati dei primi progetti rappresenta una fase del “fare ingegneria” che ho cercato di mantenere inalterata anche quando software sofisticati e strumenti progettuali innovativi hanno soppiantato matita e china. La collaborazione con alcuni dei grandi maestri dell’architettura italiana e internazionale a partire dagli anni Ottanta ha contraddistinto la nostra società nella volontà di porsi come riferimento per un’edilizia evoluta e di qualità.
Alcune opere alle quali abbiamo collaborato hanno rappresentato momenti significativi per la ricerca, vere e proprie tappe di crescita progettuale, fondanti delle evoluzioni future, tra le altre: Prometeo, si è trattato di un’opera preceduta dall’esperienza fatta per l’IRCAM (Istituto Contemporaneo di Ricerca Acustica e Musica) negli anni Settanta a Parigi. Il progetto è nato da un’idea di Luigi Nono, che nel maggio nel 1983 propose a Renzo Piano Building Workshop di ideare uno “spazio musicale” per un’opera alla quale stava lavorando: il “Prometeo” appunto. La musica di Luigi Nono per l’opera Prometeo intendeva circondare lo spettatore, nascere da diversi luoghi alternando i punti di origine, utilizzare i suoni delle voci tradizioni e contemporaneamente manipolarli con sofisticate apparecchiature elettroniche. Nasceva da ciò la necessità di uno spazio che consentisse un nuovo rapporto tra spettatori ed esecuzione musicale: l’idea era di sovvertire l’impostazione della sala tradizionale. Lo “spazio musicale” era stato pensato come fosse un grande liuto, uno strumento musicale realizzato in legno e dalle dimensioni talmente dilatate da contenere dentro di sé l’interazione musicale, pubblico compreso. Lo “strumento” è stato costruito all’interno della chiesta cinquecentesca di S. Lorenzo a Venezia, con la quale instaurava un rapporto di necessità acustica e scenica. Il suono che usciva dalla cassa armonica sarebbe stato riflesso sulle pareti della chiesa.
L’ingegnerizzazione di questo pensiero progettuale e artistico insieme ha significato l’inizio di un appassionato rapporto con il legno, sviluppato a più riprese con i caselli di Udine Tarvisio nel 1985 in cui si è sperimentato l’uso del lamellare, utilizzando strumenti di calcolo per allora sofisticati che ci ha visto antesignani nell’uso di software per l’analisi delle strutture, fino al culmine progettuale raggiunto con la Fiera e il Palazzo dei Congressi di Rimini di GMP Architekten von Gerkan, Marg und Partner; un’esperienza entusiasmante che ha visto F&M Ingegneria impegnata nella creazione di un nodo-giunto della maglia romboidale della copertura che mai si era sperimentato. Una campagna di prove di laboratorio effettuate all’Università di Udine hanno confermato le nostre idee di progetto. Si tratta di una sorta di “pacchetto” che vede accoppiare le travi in legno lamellare, opportunamente fresate, con delle piastre di acciaio, rese solidali dall’iniezione di malta espansiva. Esternamente appare solamente il materiale ligneo. Questa tecnologia è stata poi trasferita in altri progetti di fiere in Cina e in Germania progettate da GMP.
La competenza di F&M, oltre alla progettazione di strutture complesse in legno, si estende anche alle strutture metalliche, a partire ad esempio dal complesso industriale di Alessi a Chieti nel 1989, la Vela e il Laguna Palace con DHK, Peter Fehrsen Architect, all’epoca la più grande copertura in Europa, per la quale F&M ha messo a punto un sistema di fissaggio dei pannelli in vetro, evitando la bucatura del vetro stesso, che rende fragile l’attacco, attraverso la pressione degli angoli del pannello tra due dischi di acciaio, collegati con un bullone. Anche questa tecnologia, all’epoca innovativa, è stata poi ripresa nel ponte di Tbilisi.
Gli studi dei dettagli costruttivi e le varie sperimentazioni sono stati poi ripresi in importanti progetti di Herzog & de Meuron per Prada, nelle esperienze in Cina di edilizia sostenibile con Mario Cucinella, dove si è incontrata la massima espressione nello sviluppo della tecnologia del vetro applicata proprio della realizzazione dell’edificio SIEEB. Altri casi esemplari di evoluzione delle sperimentazioni relative ai nodi di dettaglio sono i padiglioni Expo 2020 a Shanghai, progetto di Archea, il Pala Hockey di Arata Isozaki a Torino nel 2005, i progetti più recenti di Eco building a Podgorica, Oman e Qatar e i padiglioni del Cile (con la copertura in lamellare), della Germania e della Cina a Milano per l’Expo 2015. Se vogliamo indicare dei momenti topici, sicuramente gli anni Ottanta con il legno lamellare, gli anni Novanta e gli anni 2000 con l’acciaio e il vetro.
Modulo: Un leitmotiv delle interviste agli architetti e ancora di più a chi si occupa di engineering è rappresentato dal tema “tecnologie innovative”. Di recente abbiamo raccolto una voce fuori dal coro, cito André Straja “Non mi piace molto parlare di “tecnologie innovative”, è uno schema mentale fasullo, l’architettura è poverissima rispetto ad altre competenze professionali (…). L’architetto utilizza il mattone, l’acciaio, (…) il fotovoltaico e i sistemi BMS (Building Management System), la geotermia, l’eolico alla ricerca di risposte coerenti ed efficienti in base alle aspettative della committenza e a quelle, ineludibili, del contesto ambientale”. Qual è il suo pensiero? Se dovessimo procedere con una linea del tempo parallela alla precedente, quali tecnologie “hanno fatto la differenza” almeno negli ultimi dieci anni escludendo, se possibile, la nota rivoluzione indotta dai software?
Sandro Favero: Concordo, l’architettura attuale si avvale di materiali già noti e impiegati da tempo. Non si può parlare di “tecnologie innovative” in senso proprio. Gli stessi materiali, calcestruzzo, acciaio, mattoni non sono nuovi, rispetto a dieci anni fa, ma vengono utilizzati al meglio delle loro prestazioni. Grazie al lavoro continuo di ricerca, coadiuvato dall’impiego dei software che ne massimizzano le potenzialità, è possibile l’utilizzo di materiali, quali il calcestruzzo, con elevate prestazioni e migliorate performance. Attualmente utilizziamo al massimo livello le capacità dei materiali da costruzione, consueti nella tradizione edilizia e architettonica consolidata. La vera innovazione è nel processo di costruzione che si è notevolmente evoluto, in particolare proprio nell’ultimo decennio. L’architettura contemporanea e quella futura si confrontano quotidianamente con le nuove emergenti necessità: il controllo della qualità e il contenimento dei budget e la necessità di progettare in maniera sostenibile, cioè utilizzando tecnologie bio compatibili di riciclo e riuso.
Ora e in futuro diverrà imperativo progettare edifici e le città applicando i criteri della sostenibilità. La salvaguardia dell’ambiente è diventata un valore universale. L’edificio sostenibile e l’utilizzo del patrimonio immobiliare esistente sono gli ambiti in cui dovranno operare gli architetti e gli ingegneri.
A partire dall’impiego di materiali isolanti e di infissi a doppi vetri negli anni Settanta, fino alle facciate a taglio termico, agli impianti a pannelli radianti, alla microgenerazione diffusa con pompe di calore geotermico e sistemi fotovoltaici e termodinamici. Ogni contributo alla riduzione dei consumi energetici offerto da tecnologie diffuse su larga scala, dalle lampadine a led ai sistemi a inverter, dalle caldaie a condensazione ai cogeneratori, ha determinato un passo avanti verso un futuro meno “insostenibile” per l’edilizia.
Credo, infatti, che in un settore di fatto ancora povero e tradizionale, più che ricercare tecnologie avanzate sia corretto applicare quel semplice sapere del “buon costruire” che spesso si è perso nella corsa alla cementificazione. Abbiamo assistito anche troppe volte all’applicazione di presunte tecnologie high tech che altro non erano se non un tentativo di far percepire come sostenibili progetti che in realtà non lo erano affatto, l’ormai noto effetto green washing. Sono, quindi, convinto che il mix di conoscenze e tecnologie necessario per un buon progetto dovrebbe armonizzarsi in un processo progettuale e realizzativo meglio se certificato da organismi autonomi e riconosciuti (LEED, BREEAM, ITACA).
Modulo: Quanto sono replicabili gli assoli ingegneristici, gli studi sviluppati per progetti particolari, ad alto budget, alla scala del progetto quotidiano? Sono consapevole che dipenda da caso a caso, ma si può fare una valutazione percentuale dell’estensione della ricerca progettuale?
Sandro Favero: Oggi disponiamo di materiali da costruzione ad alta resistenza e alte prestazioni che derivano da un migliore sfruttamento delle caratteristiche fisico-meccaniche intrinseche a essi. Questi materiali migliorati, un decennio fa, erano ad uso esclusivo di opera progettate da archistar, ora sono disponibili e utilizzabili dalla gran parte dei progettisti e impiegati in numerosi tipi di costruzione. Penso ai calcestruzzi ad altissime prestazioni, agli acciai speciali e anche ai vetri strutturali. Per la copertura del Padiglione Cinese, in occasione del prossimo Expo 2015, i progettisti stanno pensando a pannelli di vetri con doppia curvatura, prodotti da una fabbrica cinese a costi molto più contenuti, impensabili fino a qualche anno fa. Ancora oggi, quando il progetto e la committenza lo consentano, è innegabilmente stimolante fare ricerca e potersi cimentare con progetti “straordinari”. A volte si tratta di applicare all’edilizia materiali e tecniche mutuate da altri settori tradizionalmente più evoluti, come la nautica e il settore auto motive, più evoluti per il carico di investimenti dedicati.
Per il museo di Arte Nuragica di Cagliari, progetto di Zaha Hadid, abbiamo studiato un pacchetto per la realizzazione di facciate dalla forma tipicamente fluida e amorfa composta da una struttura portante in spritz beton fissato a uno scheletro in carpenteria metallica, rivestito all’interno da isolante e all’esterno da una particolare resina a base di poliurea applicata a spruzzo (derivata da tecnologia navale). Anche recentemente, per le nuove lounges dell’aeroporto di Doha, disegnate da Antonio Citterio, abbiamo realizzato facciate con pinne di vetro di 16 metri di altezza, ricavate da una speciale tecnica di accoppiamenti dei vetri, di incredibile snellezza ed eleganza.
Modulo: Parliamo di cantiere: l’evoluzione, indiscutibile, in ambito progettuale ingegneristico, si coordina con l’evoluzione in fase di costruzione?
Sandro Favero: La cantierizzazione ha avuto un’evoluzione di mezzi e tecnologie che consentono ora l’esecuzione delle opere in modo preciso e veloce. Per esempio, tutti i sistemi di ponteggio, i puntoni telescopici, la tecnica per solai SkyDeck sono importanti novità introdotte nei cantieri. Ma quello che è più importante ripetere è che la vera innovazione arriva sempre dalle tecnologie di realizzazione, dalle intuizioni in corso d’opera, dagli escamotage applicativi, insomma, dallo sciogliere i nodi in cantiere. Anche l’industrializzazione dei progetti complessi trova una restituzione applicativa importante, è il cantiere che detta l’esigenza di modificare il progetto di cento oggetti tutti diversi in enne pezzi tutti uguali. La sostenibilità economica del cantiere è uno stimolo importante per l’innovazione reale.
Modulo: Quanto vale l’industrializzazione in edilizia, se la scorporiamo dalle realizzazioni che non contengono specificità strutturale e formale?
Sandro Favero: Sempre più, nell’ingegnerizzazione del progetto architettonico, si parla di industrializzazione della fase esecutiva. Non si tratta di prefabbricazione in senso classico e cioè di riprodurre parti intere di un edificio da trasportare e montare con difficoltà in cantiere ma di costruire piccole parti e componenti in officina e trasformare il cantiere nell’area del loro assemblaggio-montaggio. Per meglio esemplificare il concetto, nel progetto di Zaha Hadid per un centro commerciale a Jesolo, tutti gli elementi sono stati scomposti per renderne possibile la produzione in officina e per poi rassembrarli in sito. È un progetto dalle forme geometriche complesse che è stato opportunamente schematizzato e suddiviso in elementi che possono essere realizzati industrialmente, composti in cantiere, garantendo il risultato architettonico.
Modulo: Le opere delle quali curate il processo di engineering sono tutte “tailor-made”? come può interagire la prefabbricazione con il progetto tailor-made?
Sandro Favero: L’industrializzazione e la prefabbricazione che possono essere impiegate nel settore delle costruzioni, non necessariamente impongono una standardizzazione che impedisca l’espressione architettonica e artistica. Ogni progetto può essere ingegnerizzato senza essere spersonalizzato, è una questione di metodo di lavoro e di gestione del processo. A ogni progetto può essere dedicato un processo di engineering tailor-made che rispetti gli obiettivi prefissati e rispetti la personalità dell’intervento, un corretto processo di prefabbricazione non implica la banalizzazione o la serialità come marchio che toglie identità al progetto. La prefabbricazione oggi deve essere intesa come razionalizzazione del processo costruttivo.
L’articolo completo pubblicato su Modulo 389, maggio/giugno 2014