Sinergie e alleanze con studi internazionali di livello: è l’unico modo per essere competitivi all’estero, un’opportunità di confronto e di crescita.
Modulo: Estero vs Italia? Massimo Roj: Non sarei così assolutista. Progetto CMR nasce nel 1994 con l’obiettivo di introdurre nel mercato italiano un nuovo approccio multidisciplinare; una metodologia progettuale trasversale che integra le diverse discipline coinvolte nel processo di una visione unitaria e strategica. Pensiamo e realizziamo architetture e interni in cui l’uomo non subisce lo spazio ma ne è protagonista sin dalle prime fasi progettuali. Abbiamo mosso i primi passi affiancando aziende che, in un momento di forti tensioni economiche come quello che il nostro Paese stava attraversando negli anni Novanta, avevano la necessità di contenere i costi di gestione degli edifici. E lo abbiamo fatto dando loro la possibilità di razionalizzare e ottimizzare gli spazi di lavoro, applicando la disciplina dell’Office Space Planning. La nostra prima esperienza all’estero è stata la Grecia, con l’apertura di un branch office ad Atene. Successivamente, Progetto CMR è entrato a far parte di una rete di società internazionali, l’EAN (European Architects Network), composta da sei realtà leader in Europa (Altiplan Architects a Bruxelles, Arte Charpentier a Parigi e Lione, Estudio Lamela a Madrid e Varsavia, HOK International a Londra e npsTchobanVoss a Berlino, Amburgo e Dresda), che collaborano interagendo in modo sinergico nel proprio Paese e all’unisono all’estero. In questo modo, oltre ad avere la proficua opportunità di creare team di lavoro significativi, si ha la possibilità di operare in ambito internazionale con un vantaggioso clima collaborativo e non competitivo.
Ma la chiave di volta, l’occasione di proiettarsi realmente verso l’estero, è stata nel 2002, con la riqualificazione dell’edificio della Regione Lombardia (il Pirellone) e la sede della Regione di via Taramelli a Milano. In quel periodo Regione Lombardia e Assolombarda stavano organizzando una missione imprenditoriale in Cina e accettammo l’invito di buon grado a partecipare. La Cina per noi è stata una grande scoperta: un mondo in pieno fermento, orientato a migliorare. Un’occasione che ci ha permesso di prendere contatti significativi e cogliere inviti importanti a partecipare a concorsi (come quello per la riqualificazione di alcune zone della città di Tianjin, una metropoli con più di dieci milioni di abitanti alle porte di Pechino, sconosciuta a noi occidentali). Poi il coinvolgimento nel progetto del Rettorato dell’Università di Tianjin e nel concept del Crowne Plaza: le nostre prime opere realizzate in Cina, esperienze entusiasmanti, nonostante i costi che avevamo sostenuto come studio italiano siano stati più alti dei ricavi. In seguito a queste esperienze, nel 2004 abbiamo deciso di aprire una sede di Progetto CMR a Tianjin, una società di diritto locale a capitale interamente straniero, e due anni dopo a Pechino, dove si stavano manifestando opportunità maggiori: poi un temporary office a Shanghai, iniziando a lavorare in tutta la Cina. Oggi la nostra esperienza nel Paese è consolidata e stiamo realizzando diversi progetti di dimensioni notevoli. La nostra maggior soddisfazione è di essere riusciti a trasmettere la cultura della qualità del progetto (concetto in Cina sconosciuto).
L’apertura al mondo asiatico e l’esperienza acquisita in Cina ci hanno consentito di ampliare i nostri orizzonti anche nel mercato italiano, dove abbiamo avuto l’opportunità di lavorare su progetti più complessi e a scala urbana.
Modulo: Siete impegnati anche sul fronte della progettazione urbana in area asiatica…
Massimo Roj: È un tema appassionante. Abbiamo recentemente firmato un accordo per uno sviluppo urbano in Indonesia, sull’isola di Sulawesi, di una nuova città la cui estensione sarà pari a una volta emezza l’area urbana di Milano.
Modulo: Progetto CMR non è operativo nel Paesi del Golfo: scelta o per mancata opportunità?
Massimo Roj: Finora ci siamo focalizzati su alcuni Paesi, dove ci sono state maggiori opportunità, ossia Cina, Indonesia e India, per esempio. Sono scelte impegnative che comportano l’apertura di società nei singoli Paesi per adeguarsi alla legislazione locale, ciò avviene obbligatoriamente, anche se si vince un solo concorso. Da un’opportunità nasce quindi una presenza consolidata che richiede un’attenta gestione e precise strategie di sviluppo. Questa complessità porta a fare una riflessione riguardo al tema dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, in particolare nel mondo dell’architettura: non è possibile pensare di competere all’estero senza fare sistema. Significa che il valore della singola identità, della “firma”, diventa relativo; la capacità di fare gruppo, per competere alla pari con i grandi gruppi internazionali diventa l’elemento chiave per avere successo all’estero.
Purtroppo, ancora oggi noi italiani, e in particolare gli architetti, non entriamo in questa logica: restiamo pervicacemente legati alla figura della “primadonna”. Il fare sistema è un concetto universalmente accolto in linea teorica ma poi non totalmente applicato in termini pratici. La “perdita” del proprio nome rappresenta una difficoltà professionale/psicologica insuperabile nella maggior parte dei casi, perché la riconoscibilità del singolo professionista è per molti prioritaria. Risulta ancora difficile dare valore a un acronimo, che rimanda al di là delle singole persone. Nel mondo asiatico, invece, accade il contrario: non si dà valore al “nome” ma al brand, all’ “impresa”. Oggi l’architetto non è più al centro del mondo progettuale, lo sono, invece, tutte le competenze ingrate, dall’architettura, alle scienze ambientali, all’ingegneria, solo per citarne alcune. Non ultimo il committente, che è parte attiva (non passiva) del processo di progettazione. Il valore italiano dell’architettura, che esiste ed è fortissimo, prende origine dalla nostra storia, dalla nostra qualità di vita, e porta una visione umanistica in Paesi in cui manca completamente. Con i dovuti adeguamenti alla cultura, al clima, alla normativa, il nostro dovere di progettisti è di creare architetture e spazi a misura d’uomo, flessibili, efficienti ed ecosostenibili a qualsiasi scala.
Modulo: Quello di Progetto CMR è un approccio imprenditoriale: come sono i rapporti con gli Istituti di Credito?
Massimo Roj: In Italia abbiamo un rapporto ormai consolidato e collaborativo con alcuni Istituti di Credito, la situazione all’estero è invece più complessa, a tratti paradossale: ne è un esempio la Cina dove operiamo con una società di diritto locale ma di proprietà straniera, in tal caso gli Istituti di Credito italiano non possono finanziarla perché si tratta di una società a tuti gli effetti cinese e le banche cinesi non danno supporto perché la proprietà è straniera. Ci troviamo, quindi, costretti ad autofinanziarci, e non siamo gli unici, per questo credo che la capacità di “fare sistema” potrebbe aiutare le imprese italiane ad ampliare le prospettive e ottenere supporti maggiori.
Pubblicato su Modulo 398