Si apre il sipario. Scorrono le quinte, si abbassano le luci. La platea è pronta al grande evento, gli spettatori sono sospesi nella trepidazione di quei pochi secondi prima dell’inizio dell’atto primo. E l’atto è l’apertura della Guangzhou Opera House: 25 febbraio 2011. I 1800 posti a sedere dell’auditorium principale saranno letteralmente presi d’assalto dalla folla di auditori frenetici di godere, ancor più della manifestazione musicale, dello spettacolo architettonico offerto da una regista di eccezione, una signora di origini irachene chiamata Zaha Hadid che ultimamente sta mettendo a segno opere a dir poco spettacolari. Appoggiati su una piscina artificiale, i due corpi hanno l’aspetto di due ciottoli scuri gettati sulla riva dal mare; levigati, lisci, solidi pur nella trasparenza delle porzioni vetrate, conservano l’aspetto materico e la naturale plasticità dei sassi sottoposti all’azione modellante dell’acqua. Come se il grande complesso culturale fosse stato rigurgitato dall’adiacente Pearl River, il terzo fiume della Cina lungo il quale si sviluppa la metropoli di Guangzhou. L’enorme struttura, realizzata grazie a due differenti gusci strutturali reticolari di acciaio successivamente rivestiti da pannelli di cemento, è una sorta di inno geologico, un duplice masso-scultura che trae dalla topografia del paesaggio e dai suoi elementi le sagome fluide e sinuose sulle quale oggi cadrà finalmente il velo.
Di Beatrice Vegetti