Vincitore del concorso di progettazione promosso nel 2003 dal Museo, grazie alla donazione effettuata da Herta e Paul Amir, lo studio ha concepito un edificio in grado di risolvere uno dei problemi più importanti della progettazione: elaborare un volume che riuscisse a conciliare le peculiarità dell’area, uno stretto sito triangolare, con la necessità di spazi interni rettangolari per definire gli spazi espositivi.
L’edificio realizzato è quindi composto da una serie di piani indipendenti e di sistemi strutturali in acciaio impilati l’uno sull’altro, collegati da episodi geometrici che risolvono la circolazione verticale. In questa configurazione trovano posto le gallerie, organizzate intorno a grande atrio illuminato da un lucernario a forma di spirare denominato “Lightwall”.
Gli interni, che seguono il carattere minimalista delle cosiddette “white boxes”, contrastano notevolmente con le spettacolari torsioni che caratterizzano le facciate “diamantate” dell’edificio, realizzate con pannelli di calcestruzzo prefabbricati di 465 forme differenti.
Il nuovo edificio ripropone parzialmente i materiali della struttura preesistente, creando un legame visivo con l’intorno. Contestualmente, l’opera si inserisce nella più ampia tradizione architettonica israeliana, adottando molteplici vocabolari che spaziano da Mendelsohn al Bauhaus, sintetizzati in un nuovo linguaggio architettonico internazionalista e progressivo nel suo orientamento culturale.
Crediti fotografici: Amit Geron