Con l’obiettivo di promuovere il “desiderio” di architettura, il Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta ha spiegato che questa edizione della mostra internazionale di Architettura diretta da Yvonne Farrell e Shelley McNamara pone al centro dell’attenzione la questione dello spazio, della qualità dello spazio, dello spazio libero e gratuito.
La prima volta della Santa Sede nello spazio della Biennale di Architettura di Venezia. Dieci cappelle firmate da grandi architetti nel bosco dell’isola di San Giorgio che diventa metafora di un labirinto. L’obiettivo: riaprire il dialogo con il mondo dell’arte.
Il numero delle cappelle è simbolico, perché esprime un decalogo di presenze incastonate all’interno dello spazio: sono voci fatte architettura, che risuonano con la loro armonia spirituale nella trama della vita quotidiana, rappresentando il dialogo e la pluralità delle culture e delle società.
Per confermare la «cattolicità», cioè l’universalità della Chiesa, sull’isola di San Giorgio sono giunti architetti di origini, esperienze e fedi diverse: dalla vicina Europa, con la sua configurazione storicamente variegata, al lontano Giappone dotato di radici religiose originali; dalla vivace spiritualità latino-americana a quella apparentemente più secolarizzata degli Stati Uniti, fino alla remota Australia che in realtà riflette la comune contemporaneità.
“Sono i punti di orientamento nel labirinto della vita. – spiega il curatore Francesco Dal Co – In molte, anche se non era stato richiesto, ricorre il simbolo della croce, ma non vanno intese come cappelle cristiane. Al di là della della forma e delle intenzioni rappresentano un luogo di incontro.”
Agli architetti è stato chiesto di mantenere due componenti fondamentali, il pulpito e l’altare, ma il percorso tra le cappelle “è una sorta di pellegrinaggio non solo religioso ma anche laico, condotto da chi vuole riscoprire la voce interiore e trascendente, la fraternità umana dello stare insieme, e insieme la solitudine del bosco”.
La cappella progettata dall’architetto svedese Gunnar Asplund nel 1920 è l’ispirazione comune, come racconta Dal Co: “Con questo piccolo capolavoro Asplund definiva la cappella come un luogo di orientamento, incontro e meditazione, apparentemente formato dal caso o da forze naturali all’interno di una vasta foresta, vista come la suggestione fisica del progresso labirintico della vita, il vagabondare dell’umanità come preludio all’incontro.”
Sean Godsell
Nel 2002 l’autorevole rivista Wallpaper ha citato l'architetto austrialiano Sean Godsell come una delle dieci persone destinate a “cambiare il modo in cui viviamo”. Nel 2003 ha ricevuto una citazione dal presidente dell’American Institute of Architects per il suo lavoro per i senzatetto. L’anno seguente il suo prototipo di Future Shack è stato esposto per sei mesi al Cooper Hewitt Design Museum dello Smithsonian Institute di New York. La rivista Time lo ha nominato nella sezione “Who’s Who – The New Contemporaries” del suo supplemento per lo stile e il design del 2005. Era l’unico australiano e l’unico architetto nel gruppo di sette eminenti designer.
L'opera
Da un amore per i campanili di Venezia, per la loro audace ingegneria e sfrontata verticalità sullo skyline veneziano, nasce la torre con con struttura portante in acciaio e completamente rivestita in laminato in zinco-titanio zintek®. Tutti e quattro i lati della torre si aprono per rivelare l’altare, e viste dall’alto le porte verticali della cappella formano una croce.
I sostegni angolari a doppio angolo d’acciaio sono un riferimento intenzionale all’architetto tedesco Mies Van de Rohe, che affermava “il Dio è nei dettagli”. Per Godsell la chiesa del ventunesimo secolo deve essere un luogo pacifico e sicuro, un luogo multi-generazionale, un luogo coinvolgente per la contemplazione, l’autoriflessione e la meditazione, e tutto ciò prima ancora di uno spazio per la liturgia, la preghiera, la messa, l’inno, il dogma e il rituale. Un posto dove le persone si sentono a proprio agio e disposte a radunarsi.