Esperienze a quattro mani con i grandi dell’architettura. La semplificazione estrema come filtro della complessità. Con qualche concessione…all’aeronautica.
Modulo: Si dice, che nella tecnologia edilizia si riscontri un livello di innovazione minore rispetto ad altri comparti industriali. Non è così. Quali sono gli aspetti o le tecnologie che, per la tua esperienza, hanno dato, nel contesto generale (italiano e non), risultati di maggior profilo? Maurizio Milan: Partiamo dalla premessa che l’attualizzazione degli Eurocodici ha indicato delle linee progettuali che impongono metodo e rigore per gli aspetti della sicurezza e della funzionalità dell’edificio. Si lavora, dunque, più di quanto non fosse qualche decennio orsono, in un ambiente con riferimenti e modalità più definite. In questo contesto, la sperimentazione e l’innovazione esistono tanto quanto negli altri settori, la differenza è legata al fatto che quasi tutto quello che si pensa e si sviluppa è “custom”, non c’è il criterio e, in realtà, neppure l’obiettivo della serialità.
È la serialità che permette ricerca e investimenti, e quindi innovazione, verso un mercato più ampio.
È evidente allora che diventa più difficile individuare l’innovazione e renderla ripetibile. La sistemizzazione di alcuni processi costruttivi individuata per opere significative trova difficilmente una dimensione di quotidiano e diffuso nell’edilizia corrente.
Per meglio spiegare, non si possono ricreare i numeri dell’IT che sviluppa prodotti innovativi e li replica in ambiti geografici e dimensioni impensabili per l’edilizia.
Però, un esempio tra tutti, la tecnologia del pompaggio del cls in quota (oggi si va anche sui 500/600 metri) che ha consentito un diverso modo di concepire gli edifici, aprendo la via ad altezze precedentemente considerate come straordinarie è stato adottato ed è prassi corrente … ancorché per un ridotto numero di esperienze ancora e comunque fuori dallo standard.
Stiamo cominciando a conoscere ora una serie di potenzialità di tecnologie, sistemi e materiali che potremo trasferire all’ambito del costruire. Dovremmo mutuare di più dal settore dell’aeronautica – dove le innovazioni sono state sperimentate ai massimi livelli – e con la quale l’edilizia, tutto considerato, condivide una serie di esigenze e “affinità” di intenti prestazionali: isolamento termico, uso di elementi performanti di connessioni, utilizzo estremo del metallo, dei materiali superleggeri e iperprestazionali (vernici, aerogel).
E poi è importante non dimenticare, travolti dalla spinta alla conoscenza e all’uso di elementi non consueti, che in edilizia innovazione significa anche utilizzare in modo diverso, ottimizzato, “stressato”, materiali che appartengono alla tradizione. Un esempio per tutti La Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, in cui è stata utilizzata la pietra naturale con modalità progettuali ed esecutive assolutamente straordinarie.
La ricerca nasce dalle esigenze che si generano da nuove applicazioni: ad esempio il progetto del generatore eolico sviluppato insieme a Renzo Piano per conto della Energy Green Power ha permesso di affinare un sistema, ancora in fase di test, che potrà essere applicato non solo a tutto il comparto – crescente – dell’eolico, ma anche agli studi sviluppati per gli edifici alti.
Oggi in edilizia ad esempio, non si usa più il tunnel del vento per testare e verificare le soluzioni: le necessarie riduzioni di scala e l’uso di algoritmi di ridefinizione per la simulazione delle condizioni ambientali e della variabile tempo, ha sempre creato delle disomogeneità nell’input delle informazioni ed evidentemente nell’output dei risultati. Una grandissima innovazione per il mondo delle costruzioni è la possibilità di utilizzare software di simulazione fluidodinamica, noti come CFD. Il comportamento dinamico degli edifici alti e snelli viene verificato con ridotti o nulli margini di errore. E vengono comunque applicati dei coefficienti di sicurezza (si definiscono fattori di confidenza dati dagli elementi di benchmark del software utilizzato). Vengono elaborate valutazioni anche sulle potenziali regressioni che si possono verificare a livello di materiali, connessioni e altri elementi, e con applicazione statistica si desume il coefficiente di sicurezza definitivo.
L’utilizzo di software CFD, come dicevo, ha consentito di mettere a punto il generatore eolico che avevo citato poc’anzi, mutuando anche parecchie conoscenze dall’ingegneria aerospaziale.
Modulo: È molto alto il tasso di innovazione progettuale in questo oggetto? Che è un progetto di Renzo Piano.
Maurizio Milan: Si tratta di un oggetto a bassissimo impatto ambientale e sensibile ai venti a bassa quota. L’asse della turbina è orizzontale e l’altezza della torre è di circa 20 metri, mentre il diametro delle pale non supera i 16 metri. Il diametro della torre è di 35 cm, grazie all’impiego di un sistema a stralli pretesi. La potenza è di circa 55 KW. Tutti i componenti strutturali e meccanici, pale e navicella, sono stati semplificati e resi leggerissimi. Si è pensato di sfruttare il vento tangente, le correnti che si infilano nelle valli e tra i pendii, nascondendo il generatore, senza insediarlo sulle grandi superfici libere. La generazione di energia elettrice è continuata, sfrutta anche le brezze, quei venti dell’ordine di 2m/sec. È stata preferita una soluzione bipala, rispetto al tripala, per ridurre di un terzo la sua visibilità e per avere, nei casi di totale assenza di vento, una sottile linea verticale data dalla torre e dalle due pale verticali allineate a bandiera. La struttura, leggera e trasparente, è costruita con parti in acciaio e altre in carbonio e policarbonato. È stato attuato un sistema di controllo attivo dell’angolo di incidenza delle pale, la connessione delle pale di derivazione aeronautica, il doppio generatore in linea per la produzione della potenza di targa con ingombri frontali ridotti e il rotore di coda che a sua volta produce energia elettrica. La forma aerodinamica delle pale, il loro peso estremamente ridotto e il sistema di controllo attivo del passo consentono di avviare la macchina a velocità del vento molto basse, limitando così i periodi di inattività e aumentando la resa energetica annuale. Anche sotto il profilo acustico, la sagoma allungata e affusolata delle pale riduce l’intensità del rumore generato dall’impatto con il vento e dal vento “di riverbero”.
È evidente come la fluidodinamica sia una componente essenziale di questo progetto
Modulo: Altri esempi significativi? E quando non esistevano i CFD?
Maurizio Milan: In altri contesti si è rivelata l’importanza dell’uso dei software di fluidodinamica: ad esempio nel caso del “Vulcano Buono” di Nola, vicino a Napoli, un complesso multifunzionale, armonicamente integrato alla morfologia del territorio, progettato da Renzo Piano. Si valutò subito un problema di effetto di depressione interno, causato dai venti, per cui era difficile individuare un campo di convergenza che ne consentisse la mitigazione.
Per i software di simulazione, spesso vengono rilasciate delle licenze a termine e si tratta sempre e comunque di oggetti complessi da utilizzare.
Un problema che avrebbe potuto essere risolto dai software di simulazione (se all’epoca fossero esistiti) fu quello dell’effetto Venturi dello Stadio di Bari (anche questo progetto firmato da Renzo Piano). La simulazione venne sviluppata nel tunnel del vento in un laboratorio inglese. La copertura d’acciaio, se fosse stata progettata seguendo le norme italiane – all’epoca (anni Ottanta) meno rigorose e lontane dall’attuale adeguamento europeo – sarebbe collassata.
Chiaramente non si tratta di controlli suggeriti dal “senno del poi”, ma di una sorta di check list da verificare in fase progettuale. Lo stadio di Bari venne riprodotto nel tunnel del vento, con un sistema in grado di verificare 2500 punti di prelievo della pressione (la pressione è un carico) con frequenze pre-calcolate. Verificato l’effetto Venturi (per estremizzare, la palla, nel corso della partita, si sarebbe spostata, al di fuori dal controllo dei giocatori) sia pure non con la precisione che sarebbe stata deducibile utilizzando software di simulazione, furono apportate le necessarie modifiche al progetto.
Modulo: Era “più difficile” ingegnerizzare, prima della rivoluzione informatica?
Maurizio Milan: Il mio percorso professionale è cominciato quasi trent’anni fa. E in effetti non erano molti gli strumenti di calcolo a disposizione. E non c’era stata neppure la “calata di Arup” che ha avuto il grande merito di alzare il livello dell’attenzione sui temi dell’engineering, del “fare come”.
Anche oggi l’engineering è una professionalità di nicchia, non fosse per l’altissimo livello di competenze che richiede, per il rigore estremo che impone, per la capacità di “inventare”, molto lontana dai parametri della genericità. Gli oggetti informatici derivati dall’astrofisica, dalle applicazioni della Nasa sono stati i primi protagonisti dell’evoluzione dell’engineering. Nastron, ad esempio, è stato il primo software in grado di sviluppare l’analisi di elementi finiti e continua ad essere un ottimo strumento di calcolo da più di 40 anni. È in grado di prevedere il comportamento di oggetti complessi, individua i conflitti di progettazione nelle prime fasi del percorso progettuale; riduce il numero di varianti da apportare al progetto e verifica prestazioni e affidabilità.
Ansys, che un tempo si poteva solo scaricare in remoto, offre oggi una suite completa che copre l’intera gamma delle competenze della fisica consentendo la simulazione di qualsiasi processo di progettazione. Catia della Dassault Systèmes è la principale suite integrata di applicativi per la progettazione, l'ingegneria e la produzione (CAD, CAM, CAE) per la definizione e la simulazione. Esiste e viene utilizzata dagli anni Sessanta.
Modulo: Ma, allora, dove si reperivano informazioni e conoscenze così avanzate?
Maurizio Milan: Diciamo che una trentina di anni fa era necessario recuperare conoscenze e strumenti “dove e come” si poteva. La sperimentazione era al primo posto dei valori progettuali e forniva un back ground di informazioni, bagaglio prezioso e unico per le esperienze progettuali successive.
I grandi nomi dell’ingegneria Italia, Pierluigi Spadolini, l’architetto autore, tra le molte opere, della chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, Riccardo Morandi, antesignano del calcolo raffinato delle strutture in cls, il progettista di ponti, facevano tantissima sperimentazione, legate anche all’estemporaneità delle situazioni. Un esempio per tutti: il progetto di Tor Bella Monaca era stato pensato, immaginando un fondo pozzolanico, che in realtà era stato sostituito con detriti, perché estratto ed utilizzato per altro. Questo stato dei fatti imprevisto stimolò lo studio di un’alternativa diversa per la costruzione del complesso.
Ricordo, con ammirazione e rispetto profondo, l’intelligenza e la creatività di Riccardo Morandi che “ignorante” delle potenzialità e della tecnologia del legno lamellare, già anziano, ma senza ostilità alcuna ai nuovi sistemi, si mise al tecnigrafo per individuare soluzioni adeguate, applicando, a compensazione della scarsa conoscenza e bagaglio di sperimentazione, margini di sicurezza più ampi. Oggi i parametri di sicurezza per le condizioni di utilizzo sono molto vincolanti e, soprattutto, non sono soggetti al libero arbitrio del progettista, ma rigorosamente normati.
Modulo: Non tutto, nelle soluzioni innovative, ha funzionato come previsto…citiamo un esempio su tutti le doppie pelli in vetro…
Maurizio Milan: Potrei interpretare la domanda come “i buchi neri della sperimentazione ingegneristica applicata all’edilizia” … partiamo dalla constatazione che è recente l’imposizione di soddisfare le esigenze di sostenibilità e di conservazione dell’energia.
La doppia pelle, ad esempio, ha un ragionevole senso progettuale solo se applicata in determinate latitudini. In termini generali questa tecnologia ha costi alti ed efficienza bassa e, come dicevo, è adottabile solo in determinate condizioni climatiche. Evidentemente le cause dell’insuccesso sono da attribuire a risultati insoddisfacenti, qualora sia stata utilizzata senza tener conto delle condizioni al contorno.
In realtà il “buco nero” più grave è trasversale si riferisce al sistema economico che non consente margine per “far bene”, per la ricerca, la sperimentazione.
E non si può “far bene” senza avere delle risorse minime. Non si può battere un bando per una scuola per la quale venga stimato un costo di 800 m2 e pretendere delle prestazioni d’eccellenza, delle soluzioni e delle tecnologie all’avanguardia.
È ovvio che un buon progettista sa individuare le soluzioni di massima efficienza anche economica, ma esiste comunque una soglia.
Detto questo, sempre e in ogni settore, la sperimentazione “impone” errori attraverso i quali è necessario passare, che consentono meccanismi di correzione e ottimizzazione.
Modulo: In lavori complessi - e molti sono tali nel tuo curriculum - si tende, nella comunicazione, a dare valore e interesse all'engineering dell'opera soprattutto in termini di output progettuale, in altri termini, di disegni e specifiche. Come se la qualità dell'edificio fosse governabile solo col progetto esecutivo. In realtà c'è la cantierizzazione, il rapporto con l'impresa, l'ottimizzazione, il quantity e il quality surveying e molto altro. Quali esperienze o criticità in questo mondo "altro" dal progetto?
Maurizio Milan: I problemi di facility, dei costi di gestione e di distribuzione degli spazi sono elementi che andrebbero presi in considerazione in fase pre-progettuale e sono comunque componenti fondamentali del pensiero e del percorso progettuale, troppo spesso totalmente o parzialmente disattesi con esiti, talvolta, drammatici.
Faccio un esempio il Centro Culturale Americano a Parigi, progettato da Frank O. Gerhy nel 1994, ora trasformato in Maison du Cinéma, è stato mantenuto vuoto per lungo tempo per gli altissimi costi di gestione.
L’Architettura deve poter essere utilizzata, non ha senso fine a sé stessa. E così come non si può scendere sotto un certo limite di budget, perché questo inibisce il raggiungimento dei risultati prestazionali minimi, allo stesso modo non si può progettare senza pensare alle esigenze minime di gestione economica dell’edificio e non solo in senso energetico.
Nell’edilizia corrente, la logica del massimo ribasso implica la mancanza di requisiti in termini prestazionali, di qualità e di gestione nel corso della vita dell’edificio.
Senza peraltro negare che non esiste costruzione in cui tutto funzioni perfettamente. Anche se, anche sotto questo profilo, la domotica potrebbe essere una grande opportunità, intesa come principio di salvaguardia, di sostenibilità e di protezione della persona e non … come “play game”!
Modulo: Qual è stata la tua esperienza più significativa? Quella da “notte degli Oscar” …
Maurizio Milan: La chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo è stata sicuramente l’esperienza più estrema per l’uso dei materiali, per lo sviluppo delle geometrie e per la ricerca delle soluzioni a problemi altamente complessi. Abbiamo affrontato una notevole complessità costruttiva in condizioni ostili (una faglia sismica che traversa l’area di intervento) con l’esigenza di mettere in sicurezza la grande quantità di persone che frequenta l’enorme aula liturgica.
La luce è di 50 metri e su questa ampiezza abbiamo dovuto pensare allo sviluppo di un arco di pietra in grado di resistere a scosse sismiche.
Ogni elemento dell’arco è stato precompresso, utilizzando cavi di giunzione. Ogni cinque elementi di pietra è stato inserito un dissipatore sismico (fibrorinforzato con fibre amorfe). La resistenza meccanica è pari alla metà di quella della pietra. In questo modo abbiamo studiato una sorta di “debolezza” calcolata e riparabile.
“Risolta” la parte di pensiero, abbiamo dovuto studiare tecniche di montaggio che fossero in grado di adeguarsi alle ridottissime tolleranze concesse.
La precisa di lavorazione, del taglio della pietra, è stata un fattore fondamentale della fase esecutiva: la tolleranza consentita (+0 / -2,5 mm) concedeva un minimo margine alla colla utilizzata tra concio e concio. Non era possibile aumentare i valori, altrimenti l’arco sarebbe uscito dalla geometria.
Il montaggio è stato effettuato in notturna, perché in diurna si sarebbe allungata troppo (per effetto della dilatazione del materiale, alluminio) l’impalcatura, causando anch’essa rischi per la geometria dell’arco.
Nella fase di progettazione il CAM ha verificato anche l’usura degli utensili utilizzati per il montaggio, perché le variazioni di usura della lavorazione, anche solo in quotidiano, avrebbero potuto compromettere il risultato complessivo, in termini statici. Alla fine, si è arrivati a ottenere la tolleranza di 1 cm. Quest’ultimo monitoraggio è sicuramente stato utile per i produttori di utensili. È stata utilizzata la pietra di Trani: per evitare problemi legati all’anisotropia e alla disomogeneità del materiale sono state scelte pezzature cavate a basse profondità (100 m), quindi in qualche misura più stabili e, comunque, tutti i blocchi cavati sono stati ultrasonati. Sono stati estratti 1500 pezzi tutti diversi della dimensione massima di 160x280x90 cm.
Modulo: Ma al di là dell’indiscutibile valore progettuale e ingegneristico che la Chiesa di Padre Pio rappresenta, ha senso investire una grande quantità di risorse in un assolo architettonico costruito con materiali non propriamente correnti? Un’opera sicuramente non replicabile, neppure per tecnologie e sistemi utilizzati?
Maurizio Milan: Sicuramente i cosiddetti materiali innovativi sono “più facili” perché più performanti all’origine. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, esiste una replicabilità dell’esperienza che la rende sempre preziosa, anche quando non sia immediata.
Faccio un altro esempio, il ponte progettato da Michele De Lucchi per la Triennale a Milano è fatto di lamellare di bambù. È stata studiata una colla adatta (quelle sul mercato, per quanto performanti sono pensate per le resinose).
Un produttore è stato in grado di produrre una colla adeguata che è stata testata per la resistenza al taglio e per le prove di rottura, al Laboratorio dell’Università di Venezia (l’unica che si sia dichiarato disponibile in tempi ragionevoli!).
Ora il Ponte della Triennale rappresenta un’opportunità in termini comunicativi ed evocativi ed apparentemente tutto il processo di studio per rendere il bambù lamellare e per creare un nuovo collante trova nell’opera realizzata, così particolare, il suo cul-de-sac.
In realtà il bambù è un’infestante che rappresenta un’ottima risorsa per le costruzioni nei paesi autoctoni e, quindi, con grandi possibilità di sviluppo.
Modulo: Qual è, alla luce della tua grande esperienza, il senso del Progetto, oggi, in Italia?
Maurizio Milan: Il progetto va inteso nell’accezione anglosassone del termine …Project, cioè di un processo che consideri tutta le componenti, analisi, valutazione, design, sviluppo e organizzazione del cantiere, …
Quello che è importante comprendere, soprattutto in Italia, è che il progetto non è il “disegno”. Il disegno è solo una componente che assume valore nell’integrazione con gli altri aspetti.
Gli architetti non hanno una grande propensione alla gestione degli aspetti organizzativi e, talvolta, si dimostrano poco propensi a modificare indicazioni progettuali, spesso meramente formali, sia pure a fronte di motivazioni valide legate ad aspetti prestazionali ed energetici. Diciamo che talvolta manca attitudine all’ascolto.
La consapevolezza, che talvolta latita, è che il progetto è un insieme di scelte che conduce a una serie di conseguenze in un tempo lungo. Ricordo che le NTC 2008 Norme tecniche per le costruzioni impongono che la durata dell’edifico sia di 50 anni. La perdita di funzionalità dipende proprio dalla correttezza delle scelte progettuali e dalle modalità esecutive.
Modulo: Il rapporto con grandi architetti?
Maurizio Milan: Le mie esperienze sono di collaborazione fattiva, di interazione e di reciprocità di intenti. Il rapporto con lo studio di engineering è un rapporto professionale che implica un’estrema fiducia. Lo scambio di informazioni deve essere totale. Esemplifico con una metafora che mi sembra chiarisca bene il tipo di relazione: il chirurgo è il professionista, in primo piano, nella dinamica risolutiva del problema medico. Ma senza l’anestesista, nulla potrebbe il chirurgo. Eppure, quella dell’anestesista è una figura sottesa. Lo studio di engineering sta all’anestesista come l’architetto sta al chirurgo.
Modulo: Qualche nome?
Maurizio Milan: Renzo Piano con il quale collaboro da tantissimi anni, Rem Koolhaas, Michele De Lucchi, Herzog & de Meuron, Mario Cucinella, …
Modulo: La partecipazione a un concorso implica la consulenza di una società di engineering nel team di progettazione. Quali i rischi e quali le opportunità?
Maurizio Milan: La partecipazione di un team composito di professionisti ha l’obiettivo di dare risposte complete ai requisiti del bando. E questa indicazione, delle professionalità diverse integrate, sta a indicare che ci stiamo, finalmente, europeizzando. Ed è anche il segno concreto, una sorta di legittimazione di un percorso di qualità. Il contatto tra lo studio di architettura e il consulente per l’engineering avviene già in fase preliminare e fa parte di un processo di qualificazione, di assunzione di responsabilità del team che è in grado di farsi carico di ogni aspetto del progetto.
Pubblicato su Modulo 385, settembre/ottobre 2013