“Se i musei si stanno trasformando in supermercati perché allora i grandi magazzini non si trasformano in musei?”. Con questa provocatoria osservazione Ben Van Berkel, titolate di
UNstudio, iniziava il progetto per la Galleria Cheonan nella omonima città sud coreana. Un shopping center concepito a tutti gli effetti come un luogo preminente della vita collettiva, investito da una necessaria ambizione sociale e semiculturale. Opposizione alla tradizionale atopia dei grandi contenitori diffusi, obiezione sulle pure logiche commerciali che tramutano i luoghi della nuova contemporaneità in rigide macchine funzionali: l’edificio degli architetti olandesi restituisce piuttosto un fulcro urbano dove la dimensione pubblica è assorbita all’interno di un fabbricato privato. E dove l’obiettivo stesso di dar vita ad un elemento catalizzatore ha suggerito la cifra stilistica utilizzata, l’immagine scultorea finale raggiunta. La Galleria Cheonan diviene un oggetto iconico privo di qualsiasi riferimento scalare: il ritmo verticale dell’involucro edilizio esterno impedisce la corretta lettura e comprensione di quanto avviene oltre lo stesso; e all’interno la grande hall a tutta altezza ipnotizza con la sovrapposizione di piani, rampe, collegamenti, che conseguono il medesimo scopo. Tutto segue, sia fuori che dentro, la logica del flusso dinamico e dell’illusione ottica: la pelle è un dispositivo mediatico che muta incessantemente; luci, animazioni, cambiamenti cromatici sono i sistemi messi in atto per ottenere l’effetto metamorfico della facciata a doppia pelle e per elevare l’edificio a monumento visivo del tessuto urbano in cui è inserito. Bianco e nero durante il giorno, il prospetto fluido genera onde di luce colorate durante la sera, quando assume la fisionomia di una lanterna fluorescente. Effetto moirè, riverberi lucenti e apparente instabilità materica caratterizzano quest’opera di
UNStudio che contiene aree commerciali, zone ricreative ed un centro culturale.