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Il Padiglione Irlandese alla Biennale di Venezia

“Shifting Ground” o, letteralmente “terreno instabile, che si sposta” per conquistare una condizione inedita, per espandersi oltre i propri confini ed invadere un territorio globale, inteso in senso puramente concettuale: il Padiglione Irlandese alla tredicesima Biennale di Venezia, in programma a partire dal 29 agosto 2012, proietta la metodologia costruttiva nazionale, tradizionalmente fondata su materiali locali, entro le improvvise e repentine dinamiche internazionali. L’evoluzione della cultura architettonica deve procedere rispettando, considerando e includendo quegli sviluppi di carattere economico, produttivo e tecnologico che orientano l’elaborazione progettuale più allargata, dagli Stati Uniti all’est asiatico. Un mutamento di senso che non richiede tuttavia una decisiva rinuncia al proprio background culturale o ai propri punti di riferimento ma che preme piuttosto ad investirli di un significato più alto entro più estesi processi di dati, entro il network collettivo del mondo. L’urgenza di un simile atteggiamento, la necessità di chiarire la propria posizione in un campo di applicazione dilatato si esprime nella scelta di andare “beyond National architecture” – al di là di un’architettura nazionale -, mediante uno studio professionale impegnato in tre continenti grazie alla vittoria di prestigiosi concorsi internazionali. Heneghan Peng Architects non è altro che il gruppo destinato a tracciare i termini di quel “common ground” scelto da David Chipperfield come tematica della celebre esposizione: il loro lavoro trasversale comprende infatti il “Grande Museo Egizio” al Cairo, il “Giants Causeway Visitor Centre” nell’Irlanda del Nord e il nuovo ponte sul fiume Reno vicino alla mitologica formazione rocciosa di Lorelei. Razionalità geometrica e numerica, limiti tecnici tramutati in risorse così come l’elemento dell’acqua – tutti ripetuti nei tre casi citati – sono componenti condivise e fondative dell’architettura sin dal Rinascimento, minimi comuni denominatori universali che vengono ripetuti all’interno del Padiglione presentato a Venezia e curato da John McLaughlin con la commissione di Elizabeth Francis: all’interno dell’esposizione, la cui parete rievoca il tema dell’estrazione della pietra utilizzata per il centro visitatori, è creato il cosiddetto “Nilometreo”, una sorta di panca articolata e fluttuante che proietta la sua posizione orizzontale sulla linea di “acqua alta” segnata sulla muratura che delimita l’edificio. L’oscillazione prevista – simile al movimento di un’onda – è causata dal peso dei visitatori che saranno invitati ad accomodarsi su di essa, producendo un bilanciamento di masse galleggianti analogo a quello evidenziato dal principio di Archimede. Il valore simbolico di questa installazione va cercato nella strategia di collaborazione, che si configura come una condizione necessaria per evolvere e operare positivamente in un mondo ormai privo di confini, dove l'autonomia dell’oggetto architettonico scompare per integrarsi in un campo vasto regolato da nuove condizioni e forze.