UN SOLAIO DEGLI ANNI ’60 da riqualificare

Un solaio in laterocemento, sottostante un cortile a copertura di box interrati. Molto spesso, autorimesse interrate sono sottostanti a cortili o a zone similari, esposte all’acqua, il che le rende potenzialmente a rischio di infiltrazioni idriche. Il degrado può essere molto importante, soprattutto quando si protrae nel tempo.
Le tecnologie presenti
Il solaio è realizzato (dall’alto al basso) mediante:
A. uno strato di pavimentazione in lastre di pietra;
B. uno strato di supporto in massetto di sabbia e cemento;
C. un elemento di tenuta in cartonfeltro bitumato;
D. uno strato di pendenza in massetto di sabbia e cemento;
E. un elemento portante in laterocemento realizzato con travetti gettati in opera;
F. uno strato di rivestimento in intonaco.

Le anomalie
• assenza di copriferro dei travetti;
• ossidazione delle barre di armatura dei travetti;
• lacune di porzioni di strato di rivestimento in intonaco ed efflorescenze sulla sua superficie;
• lacune di porzioni di elementi di alleggerimento (pignatte);
• dislocazione di lastre di rivestimento in pietra.
Si noti anche, in alcune immagini, l’assenza/la limitatezza di interferro fra le barre di armatura. Questo è dovuto alla ridotta larghezza dei travetti, utilizzati negli anni ’60 e alla numerosità delle barre. Ridotti spazi fra le barre di armatura hanno limitato/impedito il passaggio del calcestruzzo al di sotto delle barre stesso, esponendole agli agenti aggressivi.

I difetti presenti sono i seguenti:
a. lesioni dell’elemento di tenuta per superamento del limite di vita utile. L’elemento di tenuta non è stato sostituito nel limite di tempo corretto;
b. ridotto copriferro delle barre di armatura.

Il modo di guasto
Le principali catene che hanno attivato i vari modi di guasto sono le seguenti:
1) l’acqua di origine meteorica percola, anche attraverso piccole soluzioni di continuità dell’elemento di tenuta, al di sotto dello stesso e:
a) giunge sotto l’interfaccia fra lastre e massetto in sabbia e cemento. Per variazioni di temperatura, si attivano cicli di gelo e disgelo che, per l’aumento di volume dell’acqua allo stato solido (circa il 9%) prima, distaccano le lastre, superando il limite di resistenza all’adesione di queste rispetto al supporto e, a seguire, le dislocano, creando anche falsi piani che possono provocare la caduta di persone per inciampo. Se il fenomeno avviene all’interno dei pori di un materiale e si ripete ciclicamente, si produce un degrado che inizia dal semplice scrostamento superficiale per giungere fino alla completa disgregazione. La porosità del materiale e la distribuzione dei pori sono un parametro molto importante per valutare la sua resistenza al gelo. In genere sono più resistenti al gelo i materiali poco porosi.
Nel caso del calcestruzzo o delle malte sono importanti parametri come il rapporto a/c e la stagionatura (ambedue hanno influenza sulla porosità del materiale);
b) giunge in corrispondenza dello strato di rivestimento in intonaco. Per variazioni di temperatura, si attivano cicli di gelo e disgelo che, prima, distaccano il materiale, superando il limite di resistenza all’adesione di questi rispetto al supporto (calcestruzzo oppure laterizio) e, a seguire, lo dislocano, facendolo cadere a terra (si veda anche caso a);
c) giunge a contatto con le barre di armatura, ossidandole. I prodotti dell’ossidazione (ossidi di ferro) hanno un volume superiore a quello del ferro e provocano fenomeni espansivi in corrispondenza sia del copriferro (minimale, ma tipico dell’epoca di costruzione) in calcestruzzo. Esso si distacca a cade a terra, inducendo anche fenomeni tensionali su porzioni di elementi di alleggerimento (pignatte) che si distaccano e cadono a terra anch’esse;
d) trasporta, diluendoli, i sali presenti nel massetto fino alla superficie della pavimentazione e fino alla superficie dell’intonaco. Evaporando, i sali tornano allo stato solido e creano le efflorescenze. Le efflorescenze sono costituite da depositi salini causati dalla cristallizzazione superficiale dei sali contenuti nella soluzione presente nelle porosità del materiale. La soluzione, evaporando sulla superficie del materiale, vi lascia depositati i sali. Il degrado, in questo caso, è essenzialmente di natura estetica. Nel caso in cui invece la cristallizzazione dei sali avvenga sotto la superficie del materiale, si parla di subflorescenze. Queste si formano a causa della rapida evaporazione dell’acqua, in questo caso insorgono delle sollecitazioni che possono deteriorare anche in modo considerevole il materiale. Queste tensioni sono dovute al fatto che i sali quando cristallizzano tendono ad aumentare di volume (in più sono igroscopici e quindi tendono ad assorbire acqua).
2) l’anidride carbonica, presente in atmosfera, attiva il processo di carbonatazione del calcestruzzo dei travetti, modificando il PH iniziale e rendendo l’ambiente idoneo per l’ossidazione delle barre di armatura (vedi punto 1c). Tale situazione è favorita dal ridotto copriferro del calcestruzzo che permette il raggiungimento dello stato in tempi più ridotti rispetto a quelli potenzialmente standard.
È molto importante verificare la funzionalità residua delle barre di armatura (e, in generale, del solaio), in quanto l’ossidazione riduce la sezione utile delle stesse, riducendo la resistenza meccanica della struttura del solaio.

In molti casi, la sezione dell’acciaio rimanente non è sufficiente a rispettare i limiti di progetto ed è quindi necessario:
• in casi particolari, demolire e ricostruire il solaio, con ovvi elevati costi anche in termini di mancata fruibilità degli spazi sottostanti e soprastanti il solaio;
• in altri casi, incrementare la resistenza a trazione mediante inserimento di fibre di carbonio, dopo ricostruzione del copriferro;
• in altri casi ancora, è possibile l’inserimento di profili in acciaio, da trave a trave, in sostituzione degli elementi di alleggerimento (pignatte) al fine di sostituire e disattivare meccanicamente i travetti in laterocemento esistenti.
Pubblicato su Modulo 448 - Aprile 2024