Come è noto, gli edifici sono responsabili del 40 % del consumo globale di energia dell’Unione Europea e, non essendo soggetti ad una frequente riqualificazione, incidono sul consumo energetico a lungo termine. La loro efficienza energetica riveste un’importanza cruciale ed è per questo motivo che, con la duplice finalità di perseguire uno sviluppo sostenibile e di ridurre la dipendenza energetica da altri paesi, capisaldi della politica europea sono la diminuzione dei consumi energetici degli edifici di nuova costruzione ed esistenti e la sostituzione dei combustibili fossili con fonti energetiche rinnovabili. In Italia, come in altri paesi europei, gli edifici esistenti che subiscono una ristrutturazione importante sono assimilati agli edifici di nuova costruzione; essi sono pertanto assoggettati a requisiti minimi di prestazione energetica stabiliti in funzione della zona climatica in cui sono collocati e sono obbligati, sia pur in misura diversa da Regione a Regione, ad impiegare per il loro approvvigionamento energetico fonti energetiche rinnovabili. Per gli altri edifici esistenti si è puntato invece sulla certificazione energetica, una procedura in base alla quale ai potenziali acquirenti e locatari di una unità immobiliare devono essere dichiarati, e riportati in un formale attestato, i dati sulla prestazione energetica - per climatizzazione invernale ed estiva, produzione acqua calda sanitaria, ventilazione, illuminazione - dell’edificio/ unità immobiliare ed i consigli pratici per migliorare tale prestazione. L’idea, del tutto condivisibile, è quella di dare evidenza, fra le caratteristiche che determinano il prezzo di acquisto o di locazione di una unità immobiliare, al costo connesso con la gestione energetica, stimolando così il mercato immobiliare ad attivarsi per diffondere la pratica della riqualificazione energetica.
D’altronde, se si considera che il rapporto CRESME 2009 indica in circa 29,6 milioni il numero totale di unità abitative italiane, di cui circa il 74% costruite prima del 1981 e tali da necessitare di un qualche lavoro di ristrutturazione, risulta evidente che la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente possiede un notevole potenziale ai fini della riduzione dei consumi energetici. Sulla carta la certificazione energetica sembrava essere l’azione maggiormente incisiva per raggiungere a breve termine significativi risultati su scala nazionale, soprattutto nel settore dell’edilizia residenziale, ma errori strategici e tattici ne hanno fortemente ridotto il potenziale. Sul piano strategico si è certamente sovrastimato il tasso di interventi finalizzati alla riqualificazione energetica conseguenti alle pratiche di certificazione. Non sembra infatti che colui che acquista un edificio/unità immobiliare dia più di tanto importanza al costo di gestione energetica, per lo meno in termini relativi rispetto agli altri fattori che lo inducono all’acquisto. In sostanza, anche se ancora non si hanno dati statistici che lo dimostrino, è opinione comune che la certificazione energetica non abbia finora modificato le logiche del mercato immobiliare. Sul piano tattico va detto che, così come praticata in Italia, la procedura della certificazione energetica non ha molta efficacia, in quanto viene interpretata da chi ne è soggetto come una ennesima procedura burocratica e permane una notevole confusione fra il “consumo energetico certificato”, cioè quello che è dichiarato sul certificato energetico (relativo ai fabbisogni connessi con un uso standard dell’edificio), e il “consumo energetico reale”, cioè quello che corrisponde all’effettivo esercizio dell’immobile. Peraltro si è iniziato male, con la delega alle Regioni non solo della gestione ma anche dell’impostazione della stessa procedura di certificazione, creando così grande confusione e incomprensibili dis-uniformità di comportamento fra una Regione e l’altra. Si è poi continuato peggio, consentendo a chiunque, cioè anche ai professionisti non qualificati in termini di titolo professionale, di certificare il consumo energetico di un edificio, ed anche pretendendo di diversamente qualificare il singolo professionista in base alla Regione in cui egli deve operare. In totale assenza di controlli da parte delle autorità competenti si sono prodotte e si stanno producendo molte attestazioni di certificazione energetica di infimo livello qualitativo e del tutto inutili, anche solo dal punto di vista della formazione di un “catasto energetico” del patrimonio edilizio esistente.
Nella prefazione di un recente volume riguardante la certificazione energetica un ben noto accademico che si occupa di energetica edilizia così descrive la sua personale esperienza: “All’atto della vendita di un vecchio appartamento che era stato di mia nonna mi è stato chiesto di redigere l’autocertificazione del suo fabbisogno energetico riempiendo un modulo in cui era scritto: dichiaro che (...) i costi per la gestione energetica dell’edificio sono .... e che l’edificio è di classe energetica ....”. Il tecnico dell’agenzia immobiliare aveva già provveduto a compilare il modulo come segue: “i costi per la gestione energetica dell’edificio sono molto alti e l’edificio è di classe energetica G” e a ricompensa del suo pregevole intervento ci ha chiesto la modica cifra di 1200 €.” Nel settore terziario, dove peraltro si potrebbe contare su una maggiore attenzione nei confronti dell’incidenza dei costi energetici rapportati ai costi dei prodotti e dei servizi offerti, non vengono promosse campagne d’informazione per incoraggiare i proprietari e i locatari a confrontarsi con benchmark di consumi energetici elettrici o termici né per renderli consapevoli dei possibili interventi migliorativi. Mentre negli edifici di grande dimensione abitualmente frequentati dal pubblico, come negozi e centri commerciali, supermercati, ristoranti, teatri, banche e alberghi, non sono resi pubblici i dati sulle prestazioni energetiche dell’edificio, così come viene fatto invece in altri paesi europei, mediante l’affissione degli attestati di certificazione energetica in un luogo visibile.
In Francia un provvedimento legislativo del marzo 2007 ha imposto a tutti gli enti pubblici la diagnosi energetica dei loro edifici, completa di uno studio di fattibilità relativo agli interventi necessari per migliorare la prestazione energetica. In Italia il d.l. 115 del 30/05/2008 richiama la pubblica amministrazione all’obbligo di sottoporre gli edifici pubblici o ad uso pubblico a diagnosi energetiche solo nel caso di interventi di ristrutturazione degli impianti termici - compresa la sostituzione dei generatori - o di ristrutturazione edilizia che riguardino almeno il 15 per cento della superficie esterna dell’involucro edilizio che racchiude il volume lordo riscaldato. Lo stesso decreto obbliga la pubblica amministrazione ad effettuare la certificazione energetica, con conseguente affissione dell’attestato di certificazione in un luogo facilmente accessibile al pubblico, nel caso in cui la metratura utile totale dell’edificio supera i 1000 metri quadrati. Ma di tale pratica non se ne ha traccia visibile, anche se proprio alla pubblica amministrazione spetterebbe il compito di dare dimostrazione ai cittadini che gli aspetti riguardanti l’ambiente e l’energia sono importanti e meritano la massima attenzione.
In questo contesto non vi è dubbio che, per ottenere una significativa riduzione dei consumi energetici del patrimonio edilizio esistente, occorre andare oltre la certificazione energetica e immaginare interventi più incisivi. Su tali interventi si sta quindi lavorando sia sul piano della ricerca scientifica, intesa a determinare i fattori influenzanti i consumi energetici degli edifici, che sul piano della creazione di nuovi prodotti e servizi che, più vicini alle esigenze degli utilizzatori finali, li guidino in un percorso virtuoso di contenimento dei consumi caratterizzato dalla certezza sui costi da affrontare e sui risultati conseguibili. Bisogna poi tener conto, per completezza di ragionamento, che l’utente, sia esso un singolo proprietario di immobile o una società che gestisce un esteso patrimonio immobiliare, effettua le proprie scelte non in ragione dell’entità
e/o del “valore energetico” dell’energia che utilizza, ma bensì in ragione del costo di esercizio e/o del “prezzo unitario” di detta energia. Sono dunque le opportunità di approvvigionamento energetico e le tariffe a condizionare l’uso dell’energia, in quantità e in qualità, da parte degli utenti. Per attuare concretamente le politiche di intervento sul patrimonio edilizio esistente i soggetti (lo Stato e/o le Regioni) che le determinano devono operare con chiari obiettivi in quadro complessivo, controllando, anche attraverso le imposizioni fiscali, i costi dell’energia e gli incentivi economici alla riqualificazione energetica dell’esistente.
Autore: Marco Filippi
Pubblicato su Modulo 367/2011