Genova, Milano e Parigi.
Atelier(s) Alfonso Femia è uno studio di architettura internazionale con sede a Genova, Milano e Parigi. L’esperienza maturata in più di 25 anni di attività progettuale, sviluppata a tutte le scale di intervento, si riflette nella profondità di approccio ai temi più sensibili della città e del territorio. Fondatore dell’atelier(s) è Alfonso Femia: nel 1995, ideatore e cofondatore di 5+1, nel 2005 trasformato in 5+1AA e che ha successivamente, nel 2017, mutato la sua denominazione in Atelier(s) Alfonso Femia. L’appartenenza fisica (i tre atelier) a tre geografie differenti - Genova, Milano e Parigi - caratterizza un atipico aspetto professionale che si ispira alla contaminazione con arte, fotografia, letteratura, musica. Tra i suoi progetti più recenti la nuova sede di Vimar a Marostica, la Dallara Academy a Parma, la nuova sede del Gruppo BNL-BNP Paribas a Roma, Les Docks de Marseille, The Corner a Milano e un complesso residenziale di housing sociale a Milano. Nel biennio 2021/2022 ha vinto, in Italia, il concorso per la riqualificazione e recupero della prima Zecca d’Italia a Roma, per il terminal Porto Corsini a Ravenna, per la Cittadella della Cultura a Messina, per il terminal di Porto Marghera-Venezia, per l’aeroporto di Salerno, Il Parco della Giustizia a Bari e all’estero, i campus universitari ad Annecy e ad Avignone e complessi polifunzionali e residenziali in Francia.
Lo studio sta, attualmente, lavorando allo sviluppo di progetti in Uzbekistan, Francia, Spagna e Italia e sono in fase di studio nuovi prodotti di design. Tra i concorsi vinti nel corso dell’anno, quelli in Francia: una piazza pubblica ad Ajaccio, in Corsica e una torre nel quartiere de La Défense a Parigi.
"Nessuno degli elementi che compone la complessa dimensione urbana può essere considerato separatamente dal contesto. Dunque, non esiste oggi un capitolo progettuale “edilizia residenziale”, anche se, in effetti, questa espressione ha, per un tempo lunghissimo, segnato il linguaggio burocratico, professionale, accademico. Fattori esogeni al contesto architettonico - sociali, economici, culturali, la pervasiva diffusione del digitale, non ultima la pandemia - hanno innescato un’accelerata metamorfosi urbana. Delle mutazioni metaurbane, quella sull’abitare è quanto più si avvicina a una vera e propria rivoluzione.
Prima della pandemia si associava il concetto di “abitare” alla “casa”. Oggi, si “abita” in termini individuali e collettivi ogni spazio. La città si è completamente trasformata, consumata e perduta la suddivisione dei centri abitati in varie zone determinate dalla loro destinazione. L’eterogeneità e la contaminazione funzionale sono diventati elementi di valorizzazione sociale e urbana. Le nuove variabili sono il tempo e la modalità d’uso. La permanenza dell’abitare assume un inconsueto carattere mutevole e “casa” è sempre più quello in cui ci identifichiamo nei diversi momenti della nostra vita, piuttosto che una dimensione precostituita.
Riassumendo, il decadimento dell’idea tradizionale di casa, quella che mutuava il persistere dell’espressione “edilizia residenziale”, la variabilità della permanenza abitativa e la mutazione sociale del lavoro impongono una riflessione sulle formule immobiliari e sui modelli architettonici. In questa trasformazione concettuale e immobiliare la frammentazione delle destinazioni all’interno della macro-funzione dell’abitare diventa spesso più etichetta immobiliare che sostanziale significato progettuale: co-living e microliving, senior living, social housinge student housing. Cosa fa la differenza?
Non esiste più il gap qualitativo e prestazionale che derivava, in passato, dall’uso di materiali di livello differente per l’edilizia popolare o di medio o alto livello. Le prestazioni richieste dalle normative e dalla legislazione conducono a un necessario allineamento tecnologico che tende verso l’alto: rinnovabili, pompe di calore, isolamento termico e acustico fanno parte dei capitolati standard. A sua volta questa standardizzazione in positivodegli edifici “residenziali” accoglie una popolazione eterogenea per reddito ed etnia che si mescola in aree differenti e in tipologie solo apparentemente diverse. Anche il posizionamento rispetto al centro, a tendere nel futuro, sarà sempre più un concetto artificiale, perché i bordi si sposteranno armonicamente più avanti. In questo senso e su questo tipo di espansione a prima vista “virtuosa”, tende a scomparire il concetto stesso di città occidentale, europea, così come l’abbiamo pensato e alimentato per almeno due secoli. I margini continueranno a esistere in una dimensione extra urbana, sempre più nascosta e per questo ancora più ghettizzante.
Si sta esaurendo il modello storico dell’edilizia residenzialee quell’idea di città che era a essa legata; sta emergendo un nuovo scenario urbano alla faticosa ricerca di equilibri e centralità mutevoli e dinamiche dove la responsabilità e la generosità dovranno essere guida progettuale, sconfinando ed esplorando tra i diversi tempi del tempo futuro."