Architetto civico, urbanista e attivista: Sir David Alan Chipperfield è il 52° vincitore del Premio Pritzker, la più alta onoreficenza ufficialmente riconosciuta nel campo dell'architettura internazionale.
Da tempo presenza costante nella lista dei potenziali vincitori del premio (assegnato dal 1979 dalla Hyatt Foundation alle più eminenti figure dell’architettura globale), l’architetto britannico riceverà l’ambita medaglia bronzea con incise le parole firmness, commodity, delight il prossimo mese di maggio, ad Atene. È proprio a quella che potremmo definire come la “maniera” di Chipperfield di lavorare nel contesto museale ed espositivo che la giuria – anche quest’anno presieduta da Aravena, affiancato da Barry Bergdoll, Deborah Berke, Stephen Breyer, André Aranha Corrêa do Lago, Kazuyo Sejima, Wang Shu, Benedetta Tagliabue e da Manuela Lucá-Dazio come Executive Director –, riserva una lunga digressione nella motivazione. Un elogio nel quale, in primis, viene evidenziata la capacità del progettista di offrire nei diversi incarichi risposte “attente, ben congegnate, precise e pacate” e “mai egoriferite”. Atteggiamento che se da una parte è l’esplicito riflesso della sua “profonda e solida conoscenza della disciplina”, dall’altro testimonia come il suo sforzo sia orientato al raggiungimento di un obiettivo civico e pubblico riconosciuto come superiore. “David Chipperfield “fa il suo lavoro”, e lo fa bilanciando pertinenza e statura. Operare ancorato al corpo di conoscenza della disciplina richiede sia intelligenza che modestia; mettere tale conoscenza al servizio di un determinato progetto richiede talento e maturità”. In grado di calibrare il suo tocco a seconda dei contesti e delle richieste, in un raggio d’azione che secondo Aravena va dal “gesto forte e monumentale fino quasi a scomparire”, Chipperfield è autore di edifici estranei alle tendenze, che “trasudano ogni volta chiarezza, sorpresa, sofisticata contestualizzazione e fiduciosa presenza”. A caratterizzarli sono “eleganza, sobrietà, composizioni chiare e dettagli raffinati”. E fra questi spiccano, appunto, gli interventi in ambito museale, spesso associati (come sull’Isola dei Musei di Berlino, alla Kunsthaus Zürich o prossimamente in terra greca) a operazioni di “agopuntura” del patrimonio esistente.