Il tema della prossima Biennale di Venezia richiama il più antico dovere, il compito primo di una pratica professionale esistita da sempre: “Common ground” o, secondo la traduzione italiana, “terreno comune”, riporta alla luce il significato più vero dell’architettura, il suo porsi come elemento di aggregazione, di confronto, il suo essere nello stesso momento un fattore scientifico, tecnologico, etnologico, economico, sociale, culturale. L’architettura non può che essere un punto d’incontro e
David Chipperfield, chiamato a dirigere la prossima edizione, non fa altro che richiamare l’attenzione su una dimensione che è a tutti gli effetti vitale e per nulla isolata: l’architettura affronta infatti preoccupazioni, ambizioni, affronta problemi di ordine universale ed intenzioni collettive. Il terreno comune è quindi prova della volontà di sancire una conoscenza tecnica che mira ad affrancarsi dal suprematismo dell’immagine per confermare la sua essenza più profonda. Ma il terreno comune è anche la possibilità di confronto tra professionisti, che si aprono per scambiarsi opinioni, per confrontare storie ed affinità, metodologie e strumenti. Ed infine, con una interpretazione letteraria dello slogan, è il suolo che giace tra gli edifici e che concorre a formare il continuum spaziale della città. Tutte le accezioni riportate sono legate mediante un fil rouge da un comune denominatore: il fatto pubblico, la dimensione collettiva.
David Chipperfield abbatte confine geografici, stilistici ed anagrafici per consegnare la tredicesima edizione della Biennale di Venezia ai progetti degli ambiti urbani in cui vive la comunità.