Una video intervista con gli architetti olandesi Hvdn
Girovagando per l’Olanda, circa tre anni fa, avevo curiosamente scoperto un’architettura che nel mio immaginario si legava ai ricordi infantili delle costruzioni, che montavo, smontavo e rimontavo cercando la forma più appropriata per le mie cognizioni elementari. E sono sempre rimasta affascinata da quelle infinite possibilità di applicazione, dalla estrema flessibilità ed insieme disciplina di quei mattoncini colorati assemblabili. Potevo riprodurre l’esempio impresso sul cartone della scatola, oppure seguire, con una certa fantasia, le mie inclinazioni creative. Tutto questo avveniva sulla base di un modulo prefissato, di un elemento unico che, nella sua ripetizione o variazione, dava risultati estremamente diversi se non, addirittura, antitetici. E, nelle pianure irrorate dai numerosi canali dei Paesi Bassi, era come se rivivessi quella memoria: un certo rigore tipologico si mescolava ad una vivacità di soluzioni di involucro e restituiva quella piacevole dimensione urbana fatta di elementi simili ma nello stesso tempo unici. Era quello che pensavo davanti ad un Het Kasteel ad Amsterdam ancora non completamente ultimato, a quell’edificio che credo essere il capolavoro di uno studio di architettura dalle grandi capacità professionali: Hvdn, ovvero quei giovani progettisti che, con la loro linea stilistica e metodologica, mi hanno letteralmente affascinato durante l’incontro milanese.
E sorrido se considero che a distanza di un certo tempo da quella mia vacanza nel nord Europa, dove avevo visitato la loro opera in fase di ultimazione, ho incontrato gli artefici di quei miei entusiasmi sensoriali che mi hanno spinto ad indagare ed approfondire il loro curriculum, il portfolio delle realizzazioni concluse ed in corso. Così, con una certa sorpresa, il 15 marzo 2011 mi sono ritrovata di fronte ad Albert Herder, uno dei due principali dello studio, e Jean-Marc Saurer, suo stretto collaboratore, per discutere di architettura, per comprendere le loro intenzioni e quel background culturale che rende il panorama edilizio olandese molto differente da quello a cui siamo abituati. I due architetti hanno illustrato come il loro lavoro nasca necessariamente dalla valutazione oggettiva e razionale delle esigenze funzionali di un dato programma, come il vincolo di organizzazione logica degli ambienti interni sia ineludibile. La planimetria è pratica, confortevole e questa necessità è assorbita e ottimizzata dal progetto di architettura: residenze, studentati, biblioteche, scuole, devono essere macchine efficienti. Una condizione sine qua non, dettata da motivazioni economiche e da palesi abitudini di vita, che non irrigidisce tuttavia la pelle entro la quale si trovano avvolti appartamenti, aule o palestre. L’involucro, allo stesso tempo, si lega e si scinde dal ritmo ordinato della pianta: diventa dinamico, espressivo; ad esso è affidata la specificità, l’immagine singolare di un pezzo costruito che si fa così fortemente urbano. La legge della low economy non impedisce di lavorare sui prospetti con soluzioni ad hoc prefabbricate: esse garantiscono agli occupanti di un luogo la possibilità di sviluppare un forte senso di appartenenza e, per ospiti e visitatori, la particolarità non è altro che sinonimo di orientamento visivo e riconoscibilità. Ma l’obiettivo di un’architettura di qualità, i suoi principi, i metodi di concretizzazione, così come sono stati raccontati a me, sono raccolti nella video intervista riportata di seguito: una fertile discussione per la quale ringrazio vivamente gli architetti olandesi Hvdn.