L’integrazione dei materiali nanotecnologici a funzionamento
fotocatalitico per impieghi edilizi ed
architettonici ha avuto inizio già alcuni decenni
fa, anche se è proprio a partire dagli anni duemila
che si è assistito ad una maggiore diffusione di materiali
di rivestimento caratterizzati da superfici funzionalizzate ad
hoc con impieghi dei più svariati. Il principio di funzionamento
di questi materiali si basa sulla presenza di particelle
di biossido di titanio di dimensione nanometrica al proprio
interno, le quali da un lato agiscono come fotocatalizzatore,
essendo in grado di decomporre molte molecole nocive
presenti sia negli ambienti esterni che interni in sottoparti
progressivamente più piccole (sfruttando l’energia luminosa
nello spettro UV e visibile), dall’altro invece conferiscono alla
superficie interessata una particolare proprietà fisica, la superidrofilia.
Ciò significa che l’angolo di contatto dell’acqua
ha valori molto bassi, ovvero le molecole d’acqua tendono
a “spalmarsi” uniformemente su tutta la superficie, formando
un film continuo in grado di lavare via sia le particelle
preventivamente decomposte dall’effetto fotocatalitico, che
quelle di dimensioni superiori che non abbiano subito il processo
di ossidazione. Infatti, essendo il biossido di titanio un
ossido metallico, esso è in grado di degradare chimicamente
certe specie chimiche, quali NOx e VOCs, ma non può ad
esempio decomporre il particolato proveniente dalle attività
industriali e dal traffico automobilistico (meglio noto come
PM10 e PM2.5).
Tuttavia, l’effetto autopulente risulta notevole anche nel
caso del particolato, principale responsabile dello sporco
in facciata che viene facilmente scalzato e portato via dalle
superfici di involucro in occasione degli eventi meteorici.
Autore: Annalisa Andaloro
Pubblicato su Modulo 394/2015