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27 maggio 2014

CONVERSAZIONE CON RICCARDO RODA - Housing sociale

Modulo: L’housing sociale ha da sempre caratterizzato la sua attività…

Riccardo Roda: Vero, mi occupo da sempre di questo tema, sia come manager che come progettista.
Per questa ragione provo molta rabbia per come siamo stati capaci di ridurlo : da un lato se ne parla tanto, facendo i cosiddetti “concorsi di bellezza”; dall’altro invece abbiamo smesso di finanziare  il settore e, quando si costruisce, si continuano a costruire case inadeguate a bisogni che sono profondamente mutati. Trovo strano che nessuno, ma proprio nessuno, metta in luce questa situazione, che produce un danno molto grave alle nuove generazioni, che non riescono ad accedere ad un bisogno primario come la casa.


Modulo: Sul piano progettuale, quali potrebbero essere le soluzioni?

Riccardo Roda: Innanzitutto rivedere la normativa tecnica di settore: stiamo usando norme nate al momento del varo del Piano Casa del 1978, che a loro volta riprendevano la normativa Gescal. L’alloggio popolare e/o  economico continua ad essere concepito come un alloggio borghese rimpicciolito: un tot di terrazza, un tot di ripostiglio, un tot di cantine,  un tot per le camere da letto, ... Ma nel frattempo la società e la famiglia, coi i loro bisogni e comportamenti abitativi, sono cambiati. Sarebbe ora di adeguare l’offerta alla domanda.
Non è un caso che i risultati più interessanti di oggi si ritrovano in progetti a cavallo tra housing sociale e Welfare, ad esempio case per anziani, per studenti e centri di accoglienza .
Bisogna poi riavviare la ricerca progettuale, arenatasi alla fine degli anni ’90 del secolo scorso quando il Ministero delle Infrastrutture esaurì il suo ruolo di guida attraverso programmi nazionali che hanno avuto il pregio di creare un terreno comune di confronto tra operatori, progettisti, comuni, Regioni.


Modulo: Certamente un tema molto discusso, ma come è vissuto dall’architetto di oggi?

Riccardo Roda: Per le generazioni  passate l’edilizia sociale era un tema privilegiato, un impegno irrinunciabile, e non a caso gli esempi più famosi di periferie, anche in negativo, sono opera di maestri che troviamo nei manuali dell’architettura.
Oggi, visto che l’housing sociale è tornato di moda, progettare edilizia economica e popolare è un impegno saltuario, ma molto glamour. Il risultato è che l’housing sociale  viene ridotto a “concorso di bellezza”, la cosiddetta “qualità architettonica” riveste gli involucri esterni ed il gioco è fatto.
Su questo tema c’è un silenzio assordante: possibile che nessuno si alzi e dica che, eliminate le facciate, dentro gli edifici sono tutti uguali? Possibile essere costretti a progettare con standard vecchi più di 35 anni, e che a nessuno venga in mente di dire che effettivamente costruiamo case inadeguate, inutilmente costose e che non rispecchiano da tempo l’evoluzione dei bisogni abitativi degli italiani? Possibile che nessuno sappia cosa succede, per esempio in Francia o Germania?
Purtroppo è possibile: la materia è quasi del tutto sconosciuta sia  agli architetti che si cimentano con le “prove d’autore”, sia a quelli che organizzano concorsi, premi, eventi.
La causa è una sola : abbiamo sostituito l’etica con l’estetica. Poi non dobbiamo meravigliarci troppo dei risultati banali che si vedono in giro.


Modulo: Per quanto riguarda le generazioni passate, quali pensa siano stati i limiti?

Riccardo Roda: Il limite maggiore è stato quello di pensare che un buon disegno – urbanistico o architettonico – potesse riscattare da solo le periferie. Sfuggiva, come peraltro mi sembra continui a sfuggire ancora oggi, che concentrare  fasce sociali deboli in ambiti periferici, equivale a costruire delle gigantesche bombe sociali.
La segregazione ha portato a risultati negativi in tutta Europa. In Italia le cose sono state aggravate dalla carenza generale di opere pubbliche, per  cui i nuovi quartieri  regolarmente presentano aree in negativo costituite dai servizi, dai collegamenti, dalle scuole,etc..
Se gli architetti del passato hanno commesso un peccato grave, va però detto che lo hanno compiuto in buona fede , pensando di contribuire al miglioramento delle classi sociali disagiate.
Oggi questo problema non esiste proprio: si parla solo della qualità estetica degli involucri edilizi
L’insensibilità etica delle nuove generazioni credo sia un segnale negativo in senso assoluto, ben oltre i confini dell’housing sociale. Un vero peccato, perchè il mondo di oggi richiede apporti coraggiosi e generosi per trovare idee e risposte progettuali adeguate ai nuovi bisogni che la società esprime. L’housing sociale è uno di questi settori, ingessato, mal finanziato, con regole, norme e operatori obsoleti. Basterebbe poco per fare molto.
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