PADIGLIONE DEL GIAPPONE A EXPO MILANO 2015

Il padiglione del Giappone è esito di una progettazione parametrica sviluppata con Rhinos per quanto riguarda la geometria. Si tratta di un progetto "sintetico", un involucro fatto di pura geometria, un'unica sezione quadrata di larice giapponese. Il ruolo di Atelier2 è stato quello di advisor per la facciata. All'inizio aziende italiane diverse hanno prodotto modelli di nodi tecnologici in scala reale, dritti e inclinati, testati poi al Politecnico di Milano, (consulente per Arup Japan - prof Kanada) propedeutici alla costruzione delle facciate. La facciata con moduli di lunghezza 1.20/1.40 m è realizzata ad incastro come un gioco giapponese: ha una sezionerettangolare che lavora su innesti legno legno, è inclinata e genera una tensione compressiva, una sorta di precompressione del legno dovuta al suo peso; la facciata arriva fino a 15 metri di altezza, quindi il suo peso schiaccia i nodi , la precompressione agisce sulle fibre, ma in realtà queste fibre vengono tirate grazie alla loro naturale conformazione e questo metodo genera una stabilità eccellente. Il legno è arrivato in Italia non tagliato e la lavorazione è avvenuta in modalità CAD-CAM: tutti i disegni con i tagli sono stati gestiti da un robot di lavorazione che ha eseguito le tasche, le fresature, le scantonature necessarie. L'orientamento genera l'incastro del nodo che è in grado di lavorare senza viti con un eccellente stabilità. Orientamento e incastri creano un sistema che va "in carica", di tensione compressiva, i nodi si comprimono e non si verifica mai un effetto di flessione sul nodo. Esclusivamente per un problema di tempistiche (non è stato possibile marcare CE la fornitura di legname), la facciata, a tutti gli effetti portante e autoportante, è stata interpretata sotto il profilo normativo come frangisolea cui è stata abbinata una sottostruttura in acciaio che risulta indipendente. Nei punti di altezza elevata (12-15 metri) sono state predisposte delle cravatte per regolare il piombo. Solo nei punti in cui la facciata "prende la struttura", in cui c'è una concentrazione di sforzo, è stato applicato uno sciame di viti. Il padiglione non verrà demolito, ma diviso in porzioni destinate a location e destinazioni d'uso diverse. La grande innovazione, soprattutto per la progettazione e l'ingegneria edile italiana, è stata quella di passare da un sistema trave pilastro a un sistema diffuso: un sistema antichissimo giapponese (i templi giapponesi sono fatti in questo modo) attualizzato al contesto progettuale e produttivo contemporaneo. Il progettista è arrivato a questa soluzione dopo anni di ricerca, anche usando legni massicci, legni giovani, non necessariamente lamellare e legno pregiato. Nel caso specifico del padiglione giapponese il legno è stato impregnato per rispettare le normative antincendio. E' affascinante osservare come la forma dell'edificio, che è dato dalla facciata, non sia definito dai pieni, ma dai vuoti: con una sola sezione che è un parallelepipedo pieno, si generano vuoti continuamente cangianti. Mentre noi occidentali lavoriamo sulla concentrazione strutturale, i giapponesi lavorano sulla diffusione strutturale. Questo sistema potrebbe sicuramente trovare una leva favorevole di trasferimento nell'ambito dell'antisismica. Un altro aspetto interessante del padiglione giapponese è quello legato all'ultilizzo e alla trasformazione di fanghi. Il processo, definito GreenBitz è messo a punto dalla Komatsu Seiren (ditta giapponese) trasforma fanghi di derivazione civile o industriali filtrati per riqualificarli in chiave non tossica. Additivati di sabbie e argille e cotti a 1000 gradi, diventano ceramiche porose in grado di assorbire l'acqua. Aggiungendo sedum diventano un perfetto tetto verde (così è stata composta la copertura del padiglione giapponese). Il materiale è stato usato anche come pavimentazione negli esterni perchè drena l'acqua e posside la capacità di gestire un effetto di evaporate cooling con funzione di riduzione della temperatura ambientale.